Clima e politica

Anno bisesto anno funesto, recita il vecchio adagio popolare. Ma questo 2024 sembra essere funesto due volte, visti i dati che l’Osservatorio Climatico Mondiale (WMO) dell’ONU ha comunicato all’apertura della COP 29. Quest’anno l’aumento medio della temperatura è stato di 1,54°C, la CO2 ha raggiunto le 420 parti per milione (il 51% in più rispetto all’epoca preindustriale) e continua ad aumentare, i mari continuano a salire al ritmo di 4,77 mm l’anno da 10 anni, i ghiacciai sono diminuiti di 1,2 metri in media di spessore.

Sono dati allarmanti, nonostante le ufficiali note di ottimismo da cui, per ovvi motivi, i governi non possono esimersi.

La COP 29 si è aperta a Baku sotto non ottimi auspici.

Il presidente dell’Azerbaijan Aliyev, che presiede la COP, ha esordito dicendo che gas e petrolio sono doni di Dio come il sole e il vento, e quindi perché non usarli, se non in cambio di adeguati incentivi economici? Discorso quanto mai cinico, ma indubbiamente realistico.

Guterres, che oggi è forse l’uomo più inascoltato del mondo, ha ribadito per l’ennesima volta che i soldi spesi per il clima sono un investimento, e che il tempo sta scadendo. Ma in generale la politica, che forse ha un orizzonte limitato alla prossima scadenza elettorale, non ritiene ancora di occuparsi seriamente del problema. Fatto sta che il fondo mondiale per il clima, voluto proprio per i Paesi che non hanno rilevante responsabilità sulla crisi climatica, ma ne subiscono i danni più rilevanti, stenta a riempirsi, nonostante sia, come dice Guterres, un investimento.

Certo, alcuni capi di governo, come lo spagnolo Sanchez e l’inglese Starmer, hanno fatto discorsi importanti e lungimiranti nell’ottica della lotta alla crisi climatica. Ed è interessante quanto bizzarro notare che i leader politici progressisti hanno una visione molto più ecologista di quelli conservatori. Il che può sembrare strano, di primo acchito: l’ambiente e il futuro della specie umana dovrebbero essere  bipartisan. Ma non sono bipartisan gli interessi che si difendono: quelli dei petrolieri e del capitale, per esempio.

Perciò non possiamo stupirci se Trump lancia lo slogan “drill, baby, drill“, perché l’importante è creare ricchezza (per i ricchi), tanto i danni li paga la collettività. La nostra Meloni ha fatto il solito discorso populista: come madre difendo il futuro dei figli, ma evitiamo l’ideologismo a favore del pragmatismo. Se però analizziamo il discorso, le proposte sono le solite: non ci sono solo le rinnovabili, ma anche il biofuel e la fusione nucleare. Peccato che il biofuel sia un po’ una bufala e la fusione sia ancora di là da venire. In conclusione, teniamoci il gas e la CO2, che poi Dio provvede. Peraltro non importa molto al nostro governo di bruciare inutilmente gasolio marino, il combustibile più inquinante che ci sia, per trasportare avanti e indietro dall’Albania pochi migranti con una potente nave da pattugliamento con tanto di hangar e ponte per elicotteri.

La posizione dell’Italia sembra però stare a cuore alla prossima amministrazione americana, quasi a voler favorire un’altra posizione antiambientalista in seno all’Europa. Se no, non mi spiego l’uscita di Elon Musk (un criminale universale, secondo la nuova legge sulla gravidanza surrogata, ma anche il genio del governo Trump) contro i giudici italiani che, in applicazione delle leggi, fanno rientrare in Italia quei pochi migranti.

O forse parlava sotto l’effetto di una delle diverse sostanze di cui dicono faccia uso.

Comunque, si sta delineando un asse fondato sul negazionismo climatico, dichiarato o di fatto, che comprende i governi di destra a livello planetario. Sanchez, Starmer e tutti noi siamo avvertiti. È vero che tali governi sono stati eletti e che vox populi vox Dei, ma forse Dio si è stancato di noi.

Cesare Pirozzi