Salvini è innocente: la disumanità non è reato
Il processo a Palermo contro il ministro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito per tre settimane lo sbarco di 147 migranti soccorsi in mare dalla nave della ONG Open Arms, si è concluso – in primo grado – con un’assoluzione piena: perché il fatto non sussiste.
Ovviamente, non ho sufficiente competenza giuridica né conoscenza degli atti processuali per esprimere un’opinione al riguardo (tanto più in quanto non si conoscono le motivazioni della sentenza) ma è probabile che la decisione del tribunale sia tecnicamente corretta.
Potrebbe non essere infondata la tesi – sostenuta dalla difesa – che niente impedisse alla nave di Open Arms di dirigersi altrove anziché rimanere per tre settimane al largo di Lampedusa, e che perciò non si sia configurato un sequestro di persona come definito dal codice penale. È lecito ritenere, in definitiva, che gli argomenti dell’accusa in questo processo non fossero molto solidi.
Le azioni dell’ex ministro dell’Interno, tuttavia, benché non sanzionabili secondo il codice penale, sono moralmente condannabili per aver arrecato sofferenze aggiuntive a persone già tanto duramente provate. Azioni, peraltro, del tutto inutili per la cosiddetta difesa dei confini nazionali, visto che alla fine della vicenda tutti i migranti – come era inevitabile – sono sbarcati.
D’altronde, constatiamo che non soltanto la condotta di Salvini, ma anche altre iniziative del governo sono causa di maggiori disagi per tanti sventurati, come se non bastassero le violenze subite in lunghi e difficili viaggi e i rischi affrontati in mare su imbarcazioni precarie.
Mi riferisco in particolare al decreto legge approvato nel gennaio 2023, con il quale sono state stabilite rigide norme di comportamento per le navi non governative impegnate in attività di soccorso. Norme che appaiono mirate a rendere più complicate tali attività, scoraggiandole anche con l’introduzione di nuove o più pesanti sanzioni (multe o fermi amministrativi, fino alla confisca dell’imbarcazione) per eventuali inosservanze. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che altri governi, a partire dal 2019, avevano emanato simili provvedimenti, in seguito resi sempre più duri.
Una delle disposizioni del decreto impone alle navi delle ONG, che abbiano effettuato un salvataggio, di raggiungere il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità “senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso”. Questa regola, apparentemente volta a tutelare i naufraghi assicurando loro una tempestiva assistenza a terra, può essere però vista come un impedimento a qualsiasi deviazione di rotta che si rendesse necessaria a seguito di una nuova richiesta di aiuto. Colpisce poi il fatto che – in bizzarra contraddizione con quanto precede – le medesime autorità abbiano sempre cura di scegliere porti di sbarco distanti varie centinaia di miglia, obbligando le navi ad interminabili viaggi aggiuntivi. Da questa ulteriore vessazione – pensata evidentemente per tenere le navi lontano dalle zone di intervento quanto più a lungo possibile, limitandone la capacità di salvare vite umane – derivano non solo più gravi disagi e sofferenze per i naufraghi e i soccorritori, ma anche maggiori costi. Questi ultimi, sommati alle numerose sanzioni, sono stati ritenuti insostenibili da Medici Senza Frontiere, che ha deciso recentemente di interrompere le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo centrale ritirando la sua nave Geo Barents.
Come se tutto ciò non bastasse, l’ultimo “decreto flussi” (convertito in legge il 4 dicembre), oltre che inasprire le sanzioni per le navi, ne ha introdotte di nuove contro gli aerei delle ONG impegnati nel monitoraggio per la ricerca di imbarcazioni in difficoltà.
Per concludere, riporto alcuni passaggi del comunicato stampa diffuso in proposito dalle principali ONG che operano nel Mediterraneo (Emergency, Mediterranea Saving Humans, MSF, Open Arms, Resq, Sea-Watch, SOS Humanity, SOS MEDITERRANEE).
“Il vero obiettivo del provvedimento non è la gestione dei soccorsi in mare ma limitare e ostacolare la presenza delle navi umanitarie e arrivare a un piano di definitivo abbandono del Mediterraneo e di criminalizzazione del soccorso in mare. Ancora una volta sembra che lo scopo sia quello di rendere la vita impossibile a chi salva vite umane e testimonia le violazioni del diritto internazionale che avvengono quotidianamente nel Mediterraneo Centrale. Un’altra legge dannosa, propagandistica e disumana, oltreché palesemente illegittima. Il governo infatti continua a provare ad aggirare il Diritto internazionale tramite leggi ordinarie, decreti, regolamenti e prassi amministrative, tentando di infliggere nel breve periodo il più grave danno possibile a chi attraversa il mare e a chi soccorre. Quello che ci aspettiamo è un aumento di morti in mare ma ancora una volta questo decreto non fermerà la solidarietà di chi come noi, prova davvero a fare qualcosa per mitigare la sofferenza altrui”.
Adolfo Pirozzi