Senza fissa dimora: undici morti di freddo in dieci giorni
La povertà incombe su ognuno di noi, come avvoltoio scuro e alato, ci scarnifica le carni, pezzo dopo pezzo, mente siamo ancora vivi. Poi con un colpo netto ci uccide. Il freddo, alleato dell’avvoltoio della avidità, ammanta tutto e tutti. Ma a soccombere sono i più deboli. Gli anelli scollegati ed emarginati dalla società del consumo e dello spreco. Gli ultimi, muoiono di freddo. Soli. Dentro cartoni umidi ai bordi dei negozi. Vicino agli ingressi delle stazioni. Sotto i ponti. Sono chiamati senza fissa dimora. Nei primi giorni del 2025 ne sono morti dieci. Una percentuale altissima, come i morti sul lavoro: due o tre al giorno.
Senza fissa dimora. Una dicitura per definire la povertà assoluta, per definire una forma di abbandono da parte delle Istituzioni, che lascia in solitudine gli ultimi, non se ne occupa, anzi gli sono di intralcio. Tutti gli anni, muoiono di freddo i “senza fissa dimora” e tutto passa inosservato, ignorato, solo ha parlarne è un fastidio. Papa Francesco è l’unica voce dalla parte dei senza fissa dimora. È l’unico che ne parla e cerca soluzioni, aprendo le chiese, gli oratori, offrendo un piatto caldo. Ma non è sufficiente. I senza fissa dimora muoiono di freddo, al freddo, perché scacciati ed emarginati dalla società che siamo noi. Da uno Stato che non se ne prende cura. Da un egoismo che attraversa tutto e tutti. Così, in silenzio, soli, senza nessuno, i senza fissa dimora muoiono, ogni giorno, tutti i giorni, con accanto solo un cane, o un cartone vuoto di vino, avvolti da coperte bagnate. Muoiono, scalzi, o con indosso delle scarpe spaiate, molto più grandi del loro piede. Muoiono di notte quando nessuno li vede, vengono trovati al mattino, per non dare fastidio, muoiono soli, senza nessuno. E rimangono lì. Finché non li rimuovono. Tra l’indifferenza meschina della gente che passa, facendo finta che non esistono. Ma i senza fissa dimora esistono, sono i fratelli che abbiamo rinnegato, sono la coscienza che non vogliamo ascoltare. Sono parte di noi, non il residuo sociale del benessere, ma lo scarto avido, creato dalla nostra opulenza.
Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini