Torre Alfina e l’incontro che non ti aspetti
Arrivare a Torre Alfina in una giornata d’inverno, quando il sole splende alto nel cielo, è come penetrare in un dipinto in cui pennellate di delicate sfumature grigie, marroni e verde scuro sono frammentate da sprazzi di luce solare che cambiano il paesaggio al variare dell’ora e che, accarezzando i campi dormienti, contrastano con l’azzurro del cielo terso. L’aria frizzante sa di legna bruciata, di quel profumo di paese di una volta, un profumo che si diffonde per tutto il borgo arroccato ai piedi del castello. Tutto sembra surreale e fuori dal tempo, e le stradine acciottolate si snodano in strette viuzze, creando una magica atmosfera in cui i raggi del sole disegnano i contorni di tetti e camini in un chiaroscuro fatto di ombre merlate a decorare le pareti delle case.
Al centro di questo scenario incantato si erge maestoso il Castello di Torre Alfina. Esso è una struttura imponente che domina il borgo con le sue torri merlate e le mura possenti, che svettano prepotenti nel paesaggio circostante.
La sua storia affonda le radici nel Medioevo, quando fu eretto come fortilizio difensivo, per poi trasformarsi nel corso dei secoli in una residenza signorile. Il castello ha vissuto periodi di splendore alternati a momenti di abbandono, fino a quando, negli anni ’80 del Novecento, un mecenate belga, il barone Edoardo Cahen, decise di ridargli la dovuta importanza e riportarlo allo splendore che merita. Con un attento lavoro di restauro, il barone, preservandone l’architettura originale e arricchendolo con dettagli artistici e decorativi, ne ha esaltato la bellezza.
Torre Alfina, con il suo castello, è un luogo che sa raccontare storie di passato e presente, dove la natura e l’opera dell’uomo si fondono in un’armonia perfetta, regalando emozioni uniche a chi ha la fortuna di visitarlo.
Proprio mentre lo fotografavo con il mio smartphone, ho sentito una voce dietro di me che ne raccontava la storia. Una voce aggraziata, quasi da nobile, mai monotona e con le pause giuste, che mi dava quelle poche ma precise informazioni sul castello. Mi sono voltato e davanti a me c’era una persona un po attempata, con i baffi e i capelli canuti. A primo impatto, l’ho catalogato, nel mio modo di osservare, nella categoria degli artisti. Avvicinandomi e guardandolo meglio negli occhi – perché gli occhi sono sempre lo specchio dell’anima, no? – non avevo più dubbi: per me era un artista bohémien. Dal suo modo di raccontare, poteva essere un poeta, uno scrittore o persino un pittore. Dopo uno scambio di impressioni sul castello, mi disse “Sono un fotografo naturalista”.
Osservandolo meglio, in effetti poteva esserlo. Il suo sguardo attento, le mani rapide nel gesticolare e l’atteggiamento pacato e rispettoso mi rivelavano che probabilmente era veramente un fotografo naturalista, la cui passione andava oltre l’obiettivo. Perché Roberto, così si chiama, prima di premere il pulsante della fotocamera, con una dedizione metodica passa ore acquattato in un religioso silenzio, aspettando lo scatto giusto. Lo fa immerso nella natura del suo bosco, il bosco di Sasseto. Avevo davanti a me un fotografo naturalista, un uomo che dedica la vita a catturare l’essenza più autentica della natura. Roberto poi mi ha confidato che “addestra” le farfalle, ora non posso immaginare come faccia ma credo che le farfalle vadano a lui perché sentono l’energia positiva che emana.

Parlando con lui, ho scoperto che da anni immortala la fauna selvatica nel suo ambiente naturale. Ogni scatto, mi spiegò, non era solo frutto dell’istinto artistico, ma di studio, pazienza e rispetto per il soggetto. A quel punto, corse a casa sua e tornò da me con due sue pubblicazioni. Mi mostrò alcune delle sue immagini: ogni fotografia raccontava una storia, non solo estetica ma anche ecologica, un invito silenzioso a rispettare e proteggere il mondo naturale. Quell’incontro, che inizialmente mi sembrava solo un curioso incrocio con un artista vagabondo, si rivelò una finestra su un mestiere che univa passione, scienza e sensibilità. Di Roberto Antonini mi rimane il ricordo di quelle sue due pubblicazioni che gli ho comprato, un po’ perché penso che chi spende il proprio tempo – e il tempo è una cosa preziosa – per documentare momenti della natura difficilmente ripetibili, vada ricompensato, e un po’ perché credo che debba essere valorizzato l’impegno a difesa della natura.
Quel giorno a Torre Alfina ho imparato una cosa, che non sempre il lato B di un disco è la canzone meno bella: bisogna ascoltarla e probabilmente ti renderà felice. Io ho ascoltato Roberto Antonini e grazie per le tue foto.
di Eligio Scatolini
Le foto naturalistiche sono di Roberto Antonini e prese dalle sue pubblicazioni
Per chi sceglie Torre Alfina per una visita di piacere e volesse contattare Roberto, vi lascio i suoi recapiti:
Mail: RobertoAntonini@libero.it – Cell: 331.536723