La storia di Manizha Ramizy in una terra chiamata Afghanistan
Voglio parlare di questa donna in prima persona, perché nulla mi sfugge delle privazioni e delle sofferenze altrui, perché ciò che da tempo si sta perpetrando in Afghanistan è al limite della follia, con i talebani che hanno imposto sempre maggiori restrizioni a donne e ragazze, con l’obiettivo di cancellarle completamente dalla sfera pubblica. La libertà d’espressione è stata erosa e coloro che esprimevano pacificamente opinioni critiche nei confronti dei talebani hanno subìto sparizioni forzate, detenzioni illegali, arresti arbitrari, torture e altri maltrattamenti. È continuata la cultura dell’impunità, anche per crimini di guerra e contro l’umanità.
E allora io mi chiamo Manizha Ramizy, sono un’accademica e difensore dei diritti umani delle donne, ma come a molte altre docenti universitarie, mi è stato ordinato di non tornare a lavorare dopo la conquista del potere da parte dei talebani. Molte donne del personale universitario non sono state neanche pagate.
Sono stata una delle più giovani docenti universitarie e ho insegnato Diritti umani all’Università di Kabul dal 2017. Non è stato facile entrare nel mondo accademico come docente donna, perché l’intero sistema era dominato dagli uomini con scarso sostegno per le donne e le ragazze che volevano entrare nel mondo accademico. Ho subito discriminazioni, minacce ma sono riuscita a farmi strada. All’Università di Kabul, insegnavo alla Facoltà di Psicologia, servizio sociale e studi sulla protezione dei diritti dell’Infanzia. Una volta entrata nel mondo accademico, ho lavorato duramente per apportare modifiche ai programmi di studio, come includere i diritti umani tra le materie insegnate all’università. Alla fine, dopo tre anni, il nostro lavoro ha dato i suoi frutti e il Ministero dell’istruzione superiore ha accettato di inserire i diritti umani nel programma delle facoltà di Sociologia e Psicologia. In quella facoltà insegnavamo anche alle persone a diventare assistenti sociali, quindi, insegnare i diritti umani e i diritti dei minori era molto importante. Ho scritto un libro sui diritti umani per gli assistenti sociali e questa materia è ora insegnata in tutte le università statali dell’Afghanistan. Ho anche svolto ricerche sullo stato dei bambini in istituzioni come gli orfanotrofi e ho evidenziato i problemi che devono affrontare. I risultati della ricerca sono stati pubblicati e ampiamente distribuiti tra le organizzazioni che lavorano su questioni relative alla protezione dell’infanzia.
Quando l’ambasciata americana ha creato i programmi Link-in, progettati per collegare tutte le università dell’Afghanistan in una rete, nell’ambito di quel programma stavo insegnando volontariamente i diritti umani. Negli ultimi dieci anni ho fondato un Centro di Studi giuridici e mi sono adoperata per la promozione e la protezione dei diritti umani. Ho cercato e sono riuscita a fare in modo che i diritti umani diventassero parte integrante del curriculum educativo in modo che tutti gli studenti universitari siano consapevoli dei loro diritti fondamentali, in particolare gli studenti che studiano sociologia e psicologia. Prima della conquista del potere da parte dei talebani, la sfida più grande per me era convincere il governo a portare le donne in posizioni chiave e a rendere le nomine delle donne basate sul merito.
E tutti, o forse pochi sanno che quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, hanno effettivamente chiuso le porte alle donne che desiderano ottenere un’istruzione superiore e nessuna delle mie colleghe docenti è stata in grado di andare all’università per insegnare.
Ci hanno/mi hanno tarpato le ali, mi hanno messo in un angolo buio, mi hanno sottratto sogni e libertà, desiderio, meraviglia e incanto.
Sono una donna morta che respira ma so che respirare non vuol dire vivere, so che vivere è molto altro. Sono nata nel posto sbagliato nel momento sbagliato, poteva capitare anche a voi, può capitare a chiunque.
Mi sento una reclusa in un carcere che qualcuno ha creato per me, non ho scelto di diventare una nullità, non ho scelto di calpestare la mia dignità, non ho scelto di cancellare la mia autostima, non ho scelto di bruciare al vento le mie ambizioni, la mia emancipazione, la mia indipendenza, la mia autonomia, il mio fortemente desiderare la vita, quel miraggio di semplice “normalità”.
Non posso essere io l’artefice del mio destino, non posso determinare la mia sorte, non posso essere responsabile delle scelte folli e dissennate messe in atto da altri, non posso rivendicare tutto questo, non mi è concesso, non in questa terra chiamata Afghanistan.
Mi chiamo Manizha Ramizy e sono sempre stata una sognatrice.
Ora non so più chi ero, chi sono e chi diventerò.
Stefania Lastoria