Guerra, l’estremo piccolo avamposto decide per tutti

Lo abbiamo scritto diverse volte. Israele è l’estremo lembo d’Occidente nel Vecchio Continente, ossia in Africa. Nel suo nord, però, ossia in terre di etnia araba e religione mussulmana. Etnia altrettanto semita, quali è quella dei palestinesi, degli assiri, degli aramei, e altri. Tutto l’ammasso di contraddizioni planetarie tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente, tra Primo, Secondo, Terzo e Quarto Mondo, tra paesi ricchi, poveri, poverissimi e diseredati, s’incardina in maniera micidiale e cruciale nella storia passata, presente e futura di Israele. Tale retaggio di periferia estrema dell’Impero in una sconfinata contrada tanto sfruttata, quanto ostile è naturalmente avvertito con acutezza febbrile e anche straziante proprio da chi là vive, sia per mandato politico-militare esterno, sia per interiore convinzione sull’origine ancestrale e religiosa del proprio popolo. Interiorità che ne forma lo stesso irriducibile carattere nazionale. E questo non solo dalla proclamazione ufficiale dello Stato d’Israele il 14 maggio 1948, ma ancora prima, in tutti gli anni del cosiddetto Mandato Britannico, ossia di governo inglese sulla Palestina, che va dal 1920 al 1948. E c’è un film del 2024 che spiega in maniera sinteticamente fulminante l’irriducibilità di questo tratto identitario nazionale. Il film è Shoshana, di Michael Winterbottom, la storia della giovane, affascinante giornalista Shoshana Borochov, moglie di un ufficiale operativo della polizia britannica, figlia di un padre socialista e convinto che il nuovo stato dovesse essere costruito insieme a tutti coloro che popolavano su quelle terre, palestinesi in primo luogo. Gli esisti, però, sono opposti a tali convinzioni del padre e della stessa figlia, e il film ce ne mostra magistralmente le ragioni, i modi politici e armati attraverso cui esse si esprimono, consolidandosi in una irriducibile tenacia che antepone l’affermazione di Israele a qualsiasi altro influsso geopolitico, rendendolo da esso indipendente. Il nostro articolo si trova nel numero 12/2024 del 30 giugno 2024, nella rubrica Arte Cultura Cinema.

Proprio la condizione di confine estremo, piccolo, limitato sì, ma in modo cruciale, gli consente l’espressione e l’affermazione internazionale di tale tratto e conseguente azione sul piano nazionale. Lo dimostrano la guerra ad Hamas e la distruzione della vita e della civiltà a Gaza, l’occupazione, la razzia di terre, case e proprietà palestinesi, e ora l’attacco diretto all’Iran. Non ci sono tortuosità, bizantinismi delle trattative politico-diplomatiche degli Usa, della Ue, o di chiunque altro che possano anteporsi all’urgenza degli interessi israeliani. Alessandro Magno, onde avverare la profezia che legava il dominio sull’Asia allo scioglimento dell’intricatissimo Nodo di Gordio, non sta un attimo a pensarci: lo taglia violentemente con un solo colpo netto della sua spada. Similmente fa Israele.

La Storia, però, ci ammonisce anche del destino di inesorabile rovina, crollo su sé stessi degli imperi e dei loro clientes, alleati e coloni in lande estreme. In più, sulle genti ebraiche, pesa il retaggio di un pregiudizio che si trascina attraverso i secoli, che è sfociato nella Shoah, la più immane e persino indescrivibile catastrofe dell’intera civiltà europea. E una delle radici di questa civiltà era e resta ancora, purtroppo, la convinzione folle che l’uso della forza, della soverchia potenza, che oggi è soprattutto tecno-scientifica, possa modificare lo stato dell’essere, di qualsiasi essere e sua specifica, piccola o grande configurazione materiale, spirituale, politica, statuale.

In questo Israele è davvero il lembo minimo ma estremo, nel senso della radicalità percettiva, nella coscienza, nel pensiero e nell’azione di un’intera civiltà. Ma proprio perché il suo confine è faccia a faccia, direttamente esposto al volto dell’altro, ossia della miseria, dello sfruttamento non solo di un continente, ma di altre vastissime aree del pianeta, è la soluzione di tale ingiustizia strutturale che dovrebbe indicare al mondo e verso essa indirizzarlo. L’ingiustizia, infatti, quale conformazione di un ammasso crescente di contraddizioni che si solidificano su scala mondiale, esercitando la loro forza gravitazionale sulla realtà, non può che tornare a riproporsi in nuove forme, sotto aspetti davvero inaspettati, ossia tanto inediti, quanto sconvolgenti l’ordine prima con la forza imposto, ma non autenticamente ottenuto, stabilente risolto. Per questo la necessità di giustizia, la sua inderogabilità e incontrovertibilità, non può più restare solo un passivo riferimento religioso o civile che sia di ogni credo e pensiero.

Riccardo Tavani

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