Caccia alla verità nella giungla dei ricercatori di verità

L’ambiente è quello della Facoltà di Filosofia nella prestigiosa Università di Yale. L’ultimo film di Luca Guadagnino, After the Hunt, Dopo la caccia, inizia con una cena di prof e qualche studentessa a cena in casa della professoressa Alma Imhoff. Suo marito, lo psicanalista Frederik Olsson, è un raffinatissimo cuoco. Le fitte citazioni e i discorsi di filosofia, anziché chiarire, rendono ancora più problematica la ricerca della verità sul successivo presunto abuso di potere del giovane prof ‘Hank’ Gibson sulla studentessa Maggie Price, l’allieva e seguace più vicina all’insegnamento di Alma. Abuso, però, che lo spettatore non vede mai, ma ne ha solo una accalorata affermazione e una recisa negazione da parte dei due contrapposti protagonisti. Tra la l’altro si cita anche il nostro Giorgio Agamben, tuttora vivente e prolificamente attivo, tra la galleria di quelli nominati più illustri di lui, ma da tempo andati. Lo si cita, però, in modo non lusinghiero per lui. Si dice, infatti, che la studentessa in questione abbia copiato per la propria tesi di laurea interi brani del filosofo italiano sulla soggettivazione e de-soggettivazione, evidentemente convinta che poi non sia così conosciuto neanche in ambiente accademico, tanto da potersi impunemente permettere di farlo.

Ricerca della verità ostacolata anche dai violenti e ripetuti attacchi di malore che assalgono Alma nel corso dell’intricata vicenda. Questi non sono altro che l’espressione della più generale condizione di limitatezza umana, costituita proprio dal fatto di essere noi ‘aggettati’ nel mondo come corpi fisici senzienti e patenti, sofferenti. Non a caso si cita Heidegger che fa della ‘gettatezza’ dell’uomo l’elemento inseparabile dalla ricerca della verità esistenziale, che prima era intesa in modo puramente o prevalentemente intellettivo, speculativo. Si potrebbe dire che Guadagnino non prenda mai posizione sulle verità radicalmente contrapposte che man mano dei protagonisti. Sì, certo, ma fa anche di più. Le esaspera, le aggroviglia, per spiazzarci, intrigarci, proprio come la ricerca della verità in un thriller. Poi però, improvvisamente, fissa anche dei punti fermi. Come quando la Alma, stressata anche dal comportamento della sua allieva preferita, compra una bottiglia di whisky per rilassarsi, e incontrando Hank, il giovane prof accusato, lo invita a bere  insieme. E dopo aver molto parlato, animatamente discusso di filosofia e trame tra prof, e bevuto finita quella bottiglia, lui si comporta proprio come Maggie ha detto di aver fatto dopo quella cena iniziale a casa di Alma. E in questa scena verità e coinvolgimento intimo nella gettatezza corporale, e dunque anche erotica, è davvero indistricabile. Questa scena tra la prof veterana e quello giovane è cruciale. Permette a Guadagnino di andare al finale, saltando tutto e senza dover dare alcuna spiegazione. Se non la verità, è ristabilito l’equilibrio accademico tra chi deve ricercare la verità filosofica, esistenziale. E quello tra chi la storia, il presente di questa ricerca deve insegnare a chi la deve apprendere, nonostante le contraddizioni, le ambiguità, i silenzi e le menzogne da umana, comune nostra gettatezza nel mondo.

Sì, Guadagnino su questo si astiene dal prendere una posizione finale, non arriva, però, neanche a negare che non ‘una’, ma ‘la’ verità possa automaticamente darsi. Guadagnino ama misurarsi con generi e sottogeneri diversi del cinema, così che ogni film appare come un’isola a sé stante. In realtà essi fanno parte di un unico arcipelago, in cui ogni isola è collegata a tutte altre dal comune fondo marino.

di Riccardo Tavani

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