Strage di Dacca: quanto orrore ancora?

SaraDieci ore, venti ostaggi e sette terroristi. Sono questi i numeri della strage più brutale, che ha colpito il nostro paese dopo l’avvento del terrorismo islamico.
1 luglio 2016. Sono morti nove italiani. Sono morti a Dacca, lontano di casa, per non saper recitare il Corano.
Il commando è penetrato nel quartiere blindato di Gulshan, armato di bombe a mano, pistole, armi da taglio e kalashnikov. Si è insidiato dove vivono scortati imprenditori stranieri, bengalesi di potere e diplomatici.
Hanno contemplato e scelto il bersaglio dove si concentrava il maggior numero di “infedeli”. L’ultimo venerdì di Ramadan.
Hanno scelto una panetteria che di sera, si trasformava in ristorante spagnolo. Hanno mirato il fulcro della multinazionalità in Bangladesh. Meta che a partire da ottobre, è divenuta ai loro occhi una frontiera seducente.
Durante l’azione, i terroristi hanno avanzato tre richieste:
Che gli attentatori potessero lasciare il posto in modo sicuro;
Che fosse liberato Khaled Saifullah, capo di Jamaat-ul-Mujahideen;
Che l’interpretazione dell’Islam data nella missione, fosse riconosciuta.
Un vero e proprio bagno di sangue, una mattanza. Conclusasi all’alba, con un blitz di colpi violentissimi durato tredici minuti.
Adele Puglisi, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Claudia Maria D’Antona, Maria Riboli, Claudio Cappelli, Simona Monti, Marco Tondat e Cristian Rossi.
Questi i nomi dei nostri connazionali massacrati. Mutilati e torturati.
Oltre a loro sette giapponesi, una studentessa indiana appena 19enne e tre bengalesi. Seviziati per ore. Morti lentamente, al grido di “Allah è grande”.
A noi piace bere e mangiare in compagnia, avere agi, essere materialisti. Non accettiamo rinunce e abbiamo forti ambizioni non legate alla fede. Loro sono esaltati dalla sharia e sostenitori dal fanatismo religioso più estremo. Nessuna pena, cordoglio, orrore cambieranno mai tutto questo.
Nel 1907 Sumner coniò il termine “etnocentrismo”, centonove anni dopo, andrebbe approfondito più che mai.

di Sara Di Paolo

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