IL MES, LA DISINFORMAZIONE E LE SARDINE
La democrazia è tale soltanto se i cittadini sono correttamente informati sugli argomenti che i partiti dibattono. Senza informazione come si possono formare le opinioni politiche? E senza di queste, che valore ha il voto?
Al contrario, sembra che oggi prevalga, nella politica italiana, un atteggiamento profondamente antidemocratico. Questo non si realizza con l’intimidazione di tipo squadrista, con gli attentati o con tentativi di colpo di stato. Roba superata, non ce n’è più bisogno. Oggi si distrugge la democrazia con la disinformazione, veicolata da tutti i mezzi di comunicazione disponibili: stampa, radio, televisione e, soprattutto, i social network, che si cerca di trasformare in mezzi di imbonimento di massa.
Altro non sono le recenti polemiche sul MES (il tanto discusso fondo salva stati) che una ben orchestrata campagna di disinformazione, già vincente riguardo al suo obiettivo principale: impedire una discussione seria e comprensibile. Meglio che i cittadini abbiano soltanto emozioni primitive ed irrazionali, per essere suggestionabili ed influenzabili.
Eppure il MES è un mezzo molto importante di coesione europea: se deve essere respinto o accettato bisogna esserne lucidamente consapevoli; se deve essere emendato, meglio capire bene come. Alzare un polverone serve a nascondersi, a non far capire agli elettori che cosa si vuol fare.
Confesso di aver faticato a trovare fonti e notizie attendibili sui mezzi d’informazione, tanto prevale la polemica e la distorsione. Ma quel poco che sono riuscito a capire vorrei condividerlo con voi.
È, anzi, interessante mettere a confronto la disinformazione con la realtà.
Primo: l’accordo sul MES da parte del governo è un tradimento del “parlamento sovrano”. In realtà, il “parlamento sovrano” lo aveva già approvato nel 2012. Il MES esiste da anni ed è già stato usato diverse volte (quattro, per l’esattezza). Ora si tratta di una sua revisione, che entrerà in vigore soltanto quando il parlamento la approverà: per le tanto vituperate regole europee, senza tale approvazione qualunque accordo di governo è carta straccia. A dire il vero, questa revisione era già stata concordata a giugno dal governo precedente, dove Salvini e Di Maio sedevano come vice presidenti e ministri di peso. Evidentemente non se ne sono accorti, forse dormivano. Certo non hanno armato la “turilla” di oggi. L’ex ministro Tria (titolare della trattativa in quanto ministro dell’economia) è molto più responsabile di Gualtieri, giacché l’accordo era già stato chiuso dal governo gialloverde. Ed entrambi i ministri hanno puntualmente informato il parlamento, come dimostrano le carte presentate da Conte nella sua audizione. Comunque, quando governavano, i leghisti non hanno certo portato all’attenzione pubblica le nefandezze che ora vedono nel testo da loro stessi concordato, mentre i 5stelle non manifestarono grandi mal di pancia. Né si sono sentite grandi proteste da parte di FDI, quando Salvini era parte rilevante del governo che ha concordato il testo. Ci sarà pure un motivo, per questi strani silenzi.
Secondo: l’Italia dovrà dare al fondo 63 miliardi di euro, anzi 125 miliardi, secondo le dichiarazioni televisive dei due principali disinformatori. In realtà, la partecipazione italiana è del 17,9% di 80 miliardi che equivale, naturalmente, a una cifra molto inferiore (circa 14 miliardi), e che è già nel fondo dal 2014. Questi soldi sono già serviti a salvare dal default quattro Paesi europei, che già li stanno restituendo. Ovviamente, qualcuno si secca se dell’aiuto fruiscono gli altri, ma proprio questo è il senso del far parte di una comunità. La terribile Germania contribuisce al fondo per il 27%, pur sapendo che molto probabilmente non ne fruirà mai. E poi, aiutare altri stati membri di questa comunità serve anche al proprio tornaconto, dal momento che abbiamo un’unica moneta e un unico mercato. E se poi, invece, il fondo dovesse servire a noi, che cosa dovrebbero dire Germania e Francia, che ci hanno messo molti più soldi?
Terzo: il MEF serve a salvare le banche tedesche a spese dell’Italia. Questa panzana è così grossa, che diventa quasi difficile metterla in discussione. Cercherò di andare per ordine.
Il MES non serve a salvare le banche, ma gli Stati. Per le banche (che sono in Europa istituzioni private), la riforma prevede soltanto di integrare il Fondo di Risoluzione unico per le banche (già esistente e pagato dalle banche) qualora questo si riveli insufficiente, cioè in caso di una catastrofe eccezionale. Ciò vale per qualunque banca in qualunque Stato firmatario e prescinde dal debito o dal deficit di quello Stato. Si tratta di una sorta di paracadute che forse non dovrà mai essere usato, ma comunque costituisce un freno ad eventuali operazioni speculative. Sebbene le banche non siano simpatiche, sono loro che erogano prestiti, finanziano gli Stati comprandone i titoli, e custodiscono i risparmi dei cittadini. Comunque, non risulta nessuna regola o escamotage che possa privilegiare uno Stato o una banca a nostro danno, se non in qualche incubo da eccesso alimentare o alcolico dei “sovranisti”. E, ovviamente, il Fondo di Risoluzione non pesca nei conti in banca degli italiani; se mai, li tutela, perché è una forma di assicurazione sulle banche e, di conseguenza, anche su quei conti.
Tornando all’onere finanziario dell’Italia per il MEF, esso è, semplicemente, proporzionale alla ricchezza del Paese. Perciò, Germania e Francia sono al primo e secondo posto e l’Italia è terza con il suo 17,9%. Tale percentuale ha anche l’importante effetto di riconoscere all’Italia un grosso potere decisionale. Poiché si decide con la maggioranza dell’85% del capitale, l’Italia ha, di fatto, un diritto di veto sui provvedimenti del fondo, visto che la sua partecipazione supera il 15%. Più tutelati di così!
Infine, l’allarme lanciato dal presidente dell’ABI e dal governatore di Bankitalia: il MES può danneggiare le banche. In effetti, è previsto un meccanismo di “ristrutturazione” del debito per i Paesi in difficoltà. Il debito è contratto, in gran parte, nei confronti delle banche, dal momento che queste acquistano titoli di stato: sono loro tra i principali finanziatori (anche se non gli unici) del debito pubblico. Con la ristrutturazione, le banche sono costrette a rinunciare ad una quota (sia chiaro, una quota minore) dei loro crediti. Si capisce che protestano! Ma non è buona cosa che, una volta tanto, anche le banche (cioè il capitale che esse custodiscono) diano un contributo? Insomma, per un verso si protesta perché il MES provvede un ombrello di protezione per le banche; per l’altro, perché ottiene che anche le banche facciano la loro parte. Una volta tanto che una riforma è equilibrata e tocca i “poteri forti”, la si vuole affossare con le polemiche più pretestuose.
Con tutto questotourbillondi panzane, si è scrupolosamente evitato di parlare delle criticità che il MES presenta.
Per esempio, è stato abolito il ricorso al controllo esterno (ricordate la troika?) sul governo che ne dovesse fruire. Bene? No, perché questa clausola vale soltanto per i Paesi che rispettano i livelli di debito e deficit di Maastricht. Ma perché mai un Paese con debito e deficit basso dovrebbe aver bisogno del MES? Il compromesso tra i 17 Stati firmatari sembra qui tendere alla presa per i fondelli: dico di sì alla tua richiesta, ma poi – di fatto – l’annullo. Per contro, quest’ultima clausola tutela proprio i soldi che l’Italia mette nel fondo (il famoso 17,9%), perché quel controllo tanto vituperato serve poi a garantire la restituzione del prestito. Lo dico anche per tranquillizzare Salvini: nessun rischio per i soldi degli italiani, se il fondo viene utilizzato da un altro Paese (che, comunque, non sarà mai la Germania). A riprova, c’è il fatto che il fondo è stato già utilizzato a favore di Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro senza che noi ci rimettessimo, se non in piccola parte (se no, che aiuto sarebbe stato?): abbiamo, assieme agli altri partner, prestato dei soldi a chi ne aveva bisogno, e ce li sta restituendo, a costo di sacrifici non trascurabili, sicuramente maggiori dei nostri. Ma siamo sicuri che senza un controllo esterno sulla spesa pubblica ci sarebbero riusciti?
L’altro problema di cui si è impedita la discussione è più fondamentale: ma perché mai si deve creare un fondo salva stati? Ed esistono alternative?
Anche gli Stati, come le persone e le società private, possono fallire. Qualche esempio? La Germania negli anni ‘20, dove l’inflazione era su base quotidiana e non annuale, e la gente faceva la fame; fallimento che preparò la strada al nazismo, con la tragedia planetaria che ne è scaturita. Tra gli anni ‘90 e 2000 toccò all’Argentina, con un’inflazione che superava il 10% al mese, migliaia e migliaia di senzatetto, una disoccupazione record ed oltre il 35% dei cittadini sotto la soglia di povertà. Più recentemente il Venezuela, nonostante il petrolio di cui è ricco, viaggia al limite del default; l’inflazione ha divorato i risparmi (è stata pari a 1.000.000% nel 2018; avete letto bene: un milione per cento) mentre scarseggiano cibo e medicinali. Voglio dire che anche i paesi ricchi di risorse come Argentina e Venezuela possono fallire, con il contributo di governi non troppo onesti né capaci. Anche la Grecia era sull’orlo del fallimento, con un debito superiore al 180%, un’economia debole e un’evasione fiscale forte: se l’alternativa non fosse stata ben peggiore, il governo di Tsipras non avrebbe mai accettato le dure condizioni che gli furono poste. Nel ‘92, il governo Amato decretò nottetempo un prelievo dai depositi bancari di tutti i cittadini italiani, per evitare il default. Ci svegliammo tutti più poveri, un po’ per questo prelievo, ma ancor di più per l’inflazione. Ma allora non c’era un MES cui chiedere aiuto.
Per questo i 17 Paesi dell’eurozona lo hanno istituito anni fa, ed oggi hanno raggiunto un compromesso per rinnovarlo (compreso il governo giallo-verde, non dimentichiamolo) con l’intento di evitare gli errori della normativa precedente: tutti traditori? tutti stupidi? tutti venduti?
In fondo, è come quando un padre di famiglia, o un’azienda ben amministrata, accantona dei soldi per far fronte alla possibilità di un periodo di crisi: certo, deve rinunciare ad un po’ delle sue ricchezze, ma potrà dormire sonni più tranquilli. Oppure come quando si stipula un’assicurazione: devi pagarla, ma in cambio ti aiuta nel momento del bisogno.
Ma la sostanza è che il MES mette in comune il denaro di tutti, per soccorrere un membro che si trova in difficoltà: attua un principio solidaristico, senza il quale non può esistere una comunità.
Personalmente, non riesco a pensare ad alternative realistiche, ma non ne ho sentito proprio nessuna da parte delle opposizioni: se ricorrono a tante bugie, evidentemente non ne hanno.
Inoltre, c’è qualche piccolo vantaggio rispetto al vecchio MES. Per esempio, viene tolto il ricorso al Fondo Monetario Internazionale, per lasciare l’intero meccanismo in mani europee. Gli effetti negativi del prestito (gli interessi da pagare e le spese da tagliare) sono mitigati da alcuni dei provvedimenti previsti: la ristrutturazione (cioè la riduzione che tanto non piace alle banche) del debito e l’acquisto di titoli dello Stato in crisi da parte della BCE. Ma, chissà perché, la ristrutturazione (cioè, ripeto, la riduzione del debito) è tanto invisa ai populisti italiani, che non fanno che tuonare: no alla ristrutturazione del debito!
Ma potrebbe, questo MES, essere migliore?
Perché no? ma bisognerebbe discutere nel merito, non riempire l’atmosfera politica di menzogne e isterismi.
Se ho avuto qualche difficoltà a rintracciare i fatti nascosti dietro tutta questa confusione, ancor meno riesco a capirne il perché. Va bene essere all’opposizione, ma come si può mentire così spudoratamente e, soprattutto, impedire che la dialettica politica sia comprensibile e trasparente? Perché questa sorta di congiura del rumore?
Credo che la risposta non possa essere che una: è chiaro che alcuni partiti si sono dati la missione di sgretolare l’Europa. Non per difendere l’economia italiana, che non ha nulla da perdere. Tanto meno per difendere la libertà degli italiani, che è quotidianamente conculcata dalla loro consapevole e programmata campagna di disinformazione. Ho anzi il forte sospetto che lavorino in conto terzi, perché un’Europa coesa a qualcuno dà fastidio.
Oggi ricorrono i 50 anni dall’inizio della stagione delle stragi. È ormai assodato che furono orchestrate da frange di destra in combutta con aree oscure di istituzioni italiane e straniere. A cinquant’anni di distanza, è profondamente cambiato il metodo dell’eversione di destra: non più l’arma cruenta delle bombe, ma il lento veleno della disinformazione, alla cui capillare diffusione non esistono facili antidoti. Ma forse, un antidoto sta venendo fuori: grazie, Sardine!
di Cesare Pirozzi