La lista aggiusta-processi di Massimo Carminati
Sono appena passate le ore 18 del 16 Luglio 1999 quando Massimo Carminati, il numero uno di Mafia Capitale, entra, insieme ad altri otto banditi, all’interno della città giudiziaria di Roma a bordo di un furgone uguale a quello dei Carabinieri. Senza colpo ferire, a mezzanotte e mezza il commando è dentro il caveau dell’Agenzia 91 della Banca di Roma, situato all’interno della cittadella giudiziaria. Il colpo è clamoroso, un bottino da circa 18 miliardi di vecchie lire. I magistrati, per la capacità di penetrazione all’interno di spazi istituzionali, ne rilevano immediatamente la “carica intimidatoria”.
C’è qualcosa però, se possibile, di ancora più inquietante. Su 900 cassette di sicurezza solo 147 vengono svuotate. Carminati va a colpo sicuro, non una cassetta rovistata o aperta per errore. Conosce i numeri e le collocazione delle cassette che gli interessano. Tra i clienti della Banca ci sono magistrati, avvocati, cancellieri, imprenditori che in quel caveau, con ogni probabilità, nascondono documenti . Sono gli stessi giudici a dichiarare che il furto è stato indubbiamente “finalizzato alla sottrazione di documenti scottanti, utilizzabili per ricattare la vittima o terzi”. Nessuna delle vittime, tuttavia, denuncerà mai la scomparsa di documenti né si costituirà parte civile nel processo che si terrà a Perugia a carico di Carminati. Della lista contenente i nomi delle vittime neanche l’ombra fino a quando, pochi giorni fa, l’Espresso pubblica un’inchiesta dei giornalisti Lirio Abbate e Paolo Biondani che, dopo 17 anni, riescono finalmente a rendere pubblica la lista Carminati. Ci sono 22 magistrati, 55 avvocati, 5 cancellieri, 17 dipendenti del Tribunale, un carabiniere ed un perito giudiziario. Dai documenti recuperati dai due giornalisti spuntano fuori nomi del calibro di Domenico Sica ( il pm italiano che venne preferito a Giovanni Falcone come primo Alto commissario antimafia) degli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita, passando per il pm Orazio Savia ( arrestato e condannato per corruzione nel 1997) e Claudio Vitalone ( tra gli indagati per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli).
Alla luce di quanto emerso, suona certamente meno incomprensibile la conclusione delle vicende giudiziarie a carico dell’ex Nar.
All’epoca dei fatti, Carminati era sotto processo per l’omicidio Pecorelli, accusato di essere l’esecutore materiale del delitto insieme a Michelangelo La Barbera. Sotto accusa come mandanti il senatore Giulio Andreotti, il pm Claudio Vitalone ed i boss Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò. Inizialmente per Carminati viene chiesto l’ergastolo. Due mesi dopo il furto arriva l’assoluzione. Ed è solo l’inizio. Condannato a 9 anni di reclusione nel Giugno 2000 con l’accusa di aver fornito ai Servizi segreti il mitra e l’esplosivo necessari a depistare l’inchiesta sulla Strage di Bologna, viene poi assolto a Dicembre nel 2001. Nel Marzo dello stesso anno, la Cassazione aveva annullato le condanne per mafia inflitte alla Banda della Magliana e Carminati si era visto dimezzare la pena.
Per quanto riguarda il furto al caveau, poi, la condanna arriva nel 2005 dopo un processo complesso, fatto di depistaggi, reticenze e rifiuti a deporre. Al nome di Carminati tremano tutti, anche i complici. Al Nero vanno 4 anni per il furto e la corruzione di alcuni Carabinieri. La condanna diventa definitiva ad Aprile del 2010 ma, ancora una volta, Carminati se la cava. Graziato dall’indulto Prodi – Berlusconi, scampa la galera e finisce a svolgere servizi sociali presso la Cooperativa di Salvatore Buzzi. Nasce qui, secondo quanto ricostruito da L’Espresso, Mafia Capitale.
Il giorno dopo la prima pagina de L’Espresso, Carminati prende la parola in aula, durante un’udienza del processo a Mafia Capitale. “Ovviamente se Carminati corrompe i giudici e aggiusta i processi, se un domani l’esito di questo processo non fosse di gradimento de L’Espresso, probabilmente avrei corrotto anche i giudici di questo dibattimento”, dichiara Er Cecato.
Poi si lascia andare ad una serie di affermazioni che suonano in parte oscure quanto inquietanti. “ Le cose che stanno succedendo fuori da questo processo sono altrettanto importanti di quelle che succedono dentro questo processo”. E ancora “ Lo stesso giornalista che ha scritto l’articolo è andato ieri pomeriggio su RaiUno da Giletti a dire che il processo Pecorelli è stato praticamente aggiustato, e dovrebbe essere interesse dei giudici che hanno fatto le sentenze difendersi da accuse di questo tipo. Mi sembra che qui stanno tutti zitti e l’unico scemo forse sono io. Che io sia il più scemo è sicuro”. Il messaggio è suonato ambiguo agli orecchi di molti.
Cosa intende Carminati quando fa riferimento a ciò che accade fuori dal processo? E chi è, esattamente, che dovrebbe smetterla di stare zitto?
Di Martina Annibaldi