L’Italia è nata sotto il segno del Gattopardo

In Italia c’è una tradizione antica e consolidata, resa celebre dall’icastica frase di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Questa frase mi veniva in mente di continuo, leggendo notizie sulla manovra economica (la nota di aggiornamento al DEF, per meglio dire) finalmente presentata in parlamento da questo “governo del cambiamento”.
Infatti, i cambiamenti proposti dal governo sembrano un po’ gattopardeschi e, ad analizzarli bene, si rivelano piuttosto vecchi, se non stantii; mi fanno pensare a un’automobile usata, messa in vendita dopo aver taroccato il contachilometri; o al viso “rifatto” di un’attrice sul viale del tramonto.
La prima “novità” che salta agli occhi è il ricorso all’indebitamento per finanziare la manovra. Succede da almeno quattro decenni, dai tempi della prima repubblica. Anche Renzi (altro gattopardesco innovatore) si era impegnato a “battere i pugni sul tavolo” dell’Europa per ottenere il beneficio di potersi indebitare maggiormente. Che furbi a volere, pretendere ed esigere di diventare più poveri! Non per niente l’economia italiana va peggio rispetto a tanti altri paesi: debito alto vuol dire più interessi da pagare e, quindi, più spese improduttive, più tasse, più povertà. Nessuno che sia finora riuscito a realizzare la vera novità: ridurre l’indebitamento. L’intera classe politica ci sta dicendo, da anni, che una manovra “espansiva” può esser fatta soltanto aumentando il deficit, perché l’alternativa è un’austerity eccessiva, che danneggia il sociale. Indubbiamente, queste sono le vie più facili, quelle che non richiedono intelligenza, onestà ed impegno. Ma le alternative ci sono.
Per esempio, trovare i soldi con la lotta all’evasione fiscale. Ne abbiamo così tanta: è un giacimento ricco, che paesi più sfortunati di noi non hanno! E poi non è impossibile: basta copiare da qualche altro paese europeo qualche riforma di provato successo. Per esempio, il Portogallo ha aumentato in 5 anni gli introiti dell’IVA di oltre il 12%, il gettito delle imposte societarie del 23,7% e delle imposte sulle persone fisiche di quasi il 29%, con una riforma fiscale che unisce l’informatizzazione alla possibilità di detrarre l’IVA pagata dai cittadini nell’acquisto di beni e servizi. Chi sa perché, in Italia si alza sempre qualche esperto (un “fregno”, avrebbe detto Flaiano) a dire che non si può fare; ma in Portogallo lo hanno fatto senza sforzo alcuno, e con grande successo. Con una riforma come questa, che bisogno avremmo di aumentare il deficit? E infatti, il Portogallo lo riduce.
E poi, sempre per esempio, si potrebbero introdurre gli stessi meccanismi sanzionatori contro gli evasori fiscali, vigenti, per esempio, in Germania o in Olanda: sanzioni, non sanatorie, perché da quelle parti funziona così! Magari renderebbero di più, e in modo più duraturo (strutturale, si potrebbe dire). Non sarebbe un bel cambiamento? Quanto deficit si ridurrebbe per il 2019? Quante riforme si potrebbero finanziare senza allargare il debito?
Senza strafare, perché questi provvedimenti, già collaudati in quei paesi, sono di provata efficacia. Basterebbe copiare, senza inventare niente, così i testi di legge potrebbero esser pronti in pochi giorni, giusto il tempo della traduzione in italiano (“manine” permettendo).
Invece, il governo del cambiamento ha preferito attenersi a provvedimenti vecchi e, soprattutto, di provata inefficacia: l’aumento del debito e la sanatoria fiscale. Cambiamento?
La sanatoria, poi, costituisce un pezzo di bravura davvero incredibile.
Fu proposta in campagna elettorale come necessaria ad aiutare quegli imprenditori che, pur avendo fatto una corretta dichiarazione dei redditi, non riuscivano a pagare le tasse. La “pace fiscale” (per carità, non chiamiamola sanatoria!) avrebbe rimesso in sesto tante realtà economiche impantanate nella recente crisi economica, e “vessate da Equitalia”.
A parte la sceneggiata della “manina”, è uscito infine un provvedimento in cui questa tipologia di contribuenti in difficoltà non è nemmeno menzionata: saranno, si promette, recuperati in sede di discussione parlamentare, con un emendamento.
Nessuno si è degnato di spiegare il perché di una dimenticanza così grave: forse i cittadini non sono degni di essere informati.
Non ci si è, al contrario, dimenticati degli evasori veri: quelli che si sono ben guardati dal dichiarare i loro redditi reali. Come ai tempi di Tremonti, secondo una tradizione che risale ai governi targati DC degli anni ’70. Cambiamento?
Ma non è tutto. Può sembrare assurdo che un cittadino, avendo dichiarato il giusto, non riesca poi a pagare le tasse dovute: infatti, le tasse dovrebbero essere proporzionate a ciò che si guadagna. Invece assurdo non è, perché vi sono diversi meccanismi che rendono le imposte parzialmente indipendenti dal reddito effettivo, così da renderne difficile il pagamento in tempi di crisi. Allora, perché non sanare queste anomalie del prelievo fiscale? E fare in modo che le tasse siano proporzionale al reddito attuale e non ad altri parametri? Ecco, questo sarebbe un cambiamento vero. Invece no: non si sanano le cattive norme, ma si sanano gli evasori. Così gli “evasori onesti”, quelli che vorrebbero, ma non riescono a pagare tutte le tasse, saranno nuovamente vessati nei prossimi anni. Sia chiaro: non da Equitalia, ma dal governo, che non ha provveduto a raddrizzare la normativa.
Altro cambiamento vero sarebbe la riduzione della spesa corrente dell’apparato della pubblica amministrazione: dagli organi statali alle regioni, alle province, comuni, ASL, municipi, municipalizzate, agenzie eccetera eccetera eccetera. In questo siamo campioni mondiali: spendiamo più di tutti gli altri paesi industrializzati. Si capisce che un tale provvedimento è troppo complesso per stare in una manovra di bilancio. Ma almeno azzardare qualche dato su un progetto di riforma della pubblica amministrazione? Magari, più modestamente, un minimo di spending review? L’abolizione dei vitalizi ai parlamentari sembra un po’ la foglia di Fico messa a coprire la nudità della mancanza di idee su come ricondurre la nostra spesa corrente allo stello livello della Francia o della Germania. Loro riescono a spendere più di noi per istruzione, ricerca, sanità, difesa, ma meno per la macchina della pubblica amministrazione: anche qui, non si potrebbe, banalmente, copiare qualcosina, visto che la loro organizzazione, oltre a costare meno, è forse anche più efficiente? No. Meglio sforare gli ingiusti limiti europei.
E il reddito di cittadinanza? quello sì che doveva essere un cambiamento!
In effetti, molti economisti pensano che, in un sistema avanzato, dove l’informatica e la robotica fanno diminuire i posti di lavoro per gli esseri umani, prima o poi si dovrà arrivare a un reddito che compensi la progressiva, strutturale e – forse – inevitabile riduzione dell’occupazione. Sembra un’idea di sinistra, ma in realtà è un’idea di destra, perché fa gli interessi soprattutto del capitale. Pensiamoci un attimo: il capitale può disinteressarsi completamente del problema dell’occupazione; l’impatto sociale delle scelte aziendali viene sterilizzato; non importa più se l’impresa non crea più occupazione, ma disoccupazione. Tanto, ci pensa lo Stato. Con i soldi di tutti, anche di chi non riceve beneficio alcuno da quei cicli produttivi: perché le tasse le pagano tutti, non soltanto gli imprenditori. Anzi, da noi più della metà delle imposte è pagata dai lavoratori dipendenti. Riflettiamoci bene: più della metà del reddito di cittadinanza sarebbe pagato dai lavoratori dipendenti, per compensare la riduzione dei posti di lavoro che aumenta i guadagni delle imprese. Beh! non si può dire che sia una cosa molto di sinistra! Né, peraltro, molto equilibrata.
Comunque, reddito di cittadinanza vuol dire che ne ho diritto per il semplice fatto di essere un cittadino. Altra cosa sono i sussidi a poveri e disoccupati, presenti in tutto il mondo civilizzato in forme diverse; anche da noi, bene o male, con il reddito d’inclusione o la cassa integrazione.
E ormai lo si è capito. Non si tratta di reddito di cittadinanza, ma di un sussidio di disoccupazione: a termine e sottoposto a svariate condizioni; oltretutto spendibile esclusivamente per ciò che il governo ritiene etico acquistare. Magari è più giusto così (si fa per dire), ma, comunque, perché non chiamarlo con il suo nome?
Anche qui si è persa l’occasione di realizzare un cambiamento positivo: dare il nome più appropriato ai progetti politici, non il nome che meglio suggestiona l’elettore. Un governo del cambiamento dovrebbe riuscire a fare almeno questo. Infatti, questo è uno dei vizi più antichi della nostra classe politica: non dire – quasi mai – la verità.
In linea con questa vecchia tradizione politica, il governo del cambiamento ha dichiarato di voler realizzare, con la manovra economica, un deficit del 2,4%, che, in fondo, non è poi un’enormità: lo fanno anche i francesi!
Peccato che non sia vero: il deficit prodotto dalla manovra economica sarà, per il 2019, superiore al 3%. No, non sto dando i numeri: è solo un semplice “conto della serva”. Infatti, la cifra prevista dal governo nasce da qualche trucco contabile: come la previsione di una crescita del PIL dell’1,5% (impossibile, con una crescita dello 0% nel III trimestre 2018) e l’omissione delle maggiori spese in interessi per la crescita dello spread, che nel frattempo, si è verificata.
Correggendo queste due piccole imprecisioni, si supera ampiamente il 3%, come alcuni economisti hanno già da tempo segnalato.
Sarà forse per questo che in Europa nessuno è d’accordo con questa manovra? E che il nostro peso politico in Europa non è consistente come si vorrebbe? Può avere autorevolezza internazionale un governo che aumenta il debito anziché ridurre i molti sprechi ed un’enorme evasione fiscale? Ha credibilità un governo che “aggiusta” la verità, ingannando il popolo con la “manovra del popolo”?
E poi, anche i sovranisti dovrebbero riflettere sul fatto che quanto più si è indebitati, tanto meno si è padroni in casa propria: vale per le persone, ma anche per gli Stati. Anzi, si può dire che all’aumento del debito pubblico corrisponda una vera e propria riduzione di sovranità: se hai molti debiti, comandano i creditori.
Ma non voglio fare proprio la figura del brontolone, cui non va bene niente. Devo ammettere, infatti, che alcune belle novità ci sono, in questa manovra.
Una è costituita dal “bonus cervelloni”. Che io sappia, è una novità assoluta a livello mondiale. Non esiste neanche in quei paesi che, ad oggi, sono meta della “fuga dei cervelli” italiani. Le università e le aziende straniere che li assumono (e li pagano) lo fanno pur non ricevendo alcun “bonus” dallo stato. Ma saranno tutti idioti, o lo fanno perché gli conviene a prescindere? E le nostre aziende, hanno proprio bisogno di un “bonus” per scegliere i migliori? O forse il “bonus” serve a resistere alle raccomandazioni dei politici per i loro parenti e accoliti? E chi lo dice a Bossi, che il Trota rischia di restare disoccupato per colpa di Salvini? E le nostre università riusciranno a trattenere i migliori che formano, dal momento che per loro non è previsto alcun bonus?
La seconda novità, che recupera il segno del “cambiamento” nell’azione del governo, è l’aumento delle accise sulle sigarette: a questo, finora, non ci aveva mai pensato nessuno.

di Cesare Pirozzi

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