Med Film, mediterraneo, meditativo, metanarrativo

Le quattro sponde del Mediterraneo, sono Mare Nostrum, perché da Sud a Nord, da Ovest a Est è di tutti i popoli e le singole persone che vi si affacciano, vi si bagnano, vi premono, vi giungono, vi intrecciano vita, speranze e cultura. Moni Ovadia, il nostro cantore, vate di teatro, che conosce, parla, intona molte lingue e dialetti dei paesi anche più interni, attorno al Mediterraneo, svela nella sua opera le radici, le tracce, le trame comuni poetiche, musicali, spirituali originarie e contemporanee che hanno tessuto e continuano a tessere insieme i destini del Mare Nostrum. Il Mediterraneo è davvero un flusso originario di suoni e immagini storiche, geografiche, d’arte che continuano a sedimentarsi, a scorrere sotto la corrente, la pelle viva del mare. Flusso spesso drammatico, luttuoso, disperato, proprio come in un grande film intessuto di epicità, quotidianità, poeticità.

È quello che circa un quarto di secolo fa deve essere apparso chiaro a Ginella Vocca, presidentessa e fondatrice del Med Film Festival, giunto ormai alla sua 24a Edizione. Edizione in corso proprio in questi giorni di metà novembre al Cinema Savoy di Roma. Ginella Vocca, però, è molto più di un’ideatrice, tessitrice infaticabile di questo atteso appuntamento cinematografico romano. Lei stessa è origine che corre. Come tutto l’arco di leggiadria che denota insieme la dea, la musa e l’ancella divina, Ginella Vocca – anche nelle avversità – corre veloce tra le quattro sponde del Mediterraneo, sul filo della superficie d’acqua, su quello delle sue correnti più profonde alla ricerca dei tessuti più pregiati di sale e sole, di sabbia e mare, di rabbia e sete, d’immaginazione e realtà, di narrazione e documentazione. Lei torna e riemerge ogni nuovo autunno con una rete di Nettuno gonfia delle migliori creature e conchiglie di mare con eco d’arte depositatesi sulle quattro sponde. Così il Mare Nostrum confluisce veramente in due sale cinematografiche a un angolo di Piazza Fiume a Roma, inondando i nostri occhi, irrigando con il suo ricco plancton la nostra attitudine conoscitiva, critica, meditava. È una meta narrazione neo-omerica, ossia la narrazione di tutte quelle singole narrazioni, cinecantiche, che ogni lungometraggio, ogni cortometraggio, ogni perla poetica svolge con chiazze di colore e barbagli di luce mediterranea diversi. Come diverse eppure contigue le luci e le voci dei due paesi, Tunisia e Spagna, quest’anno ospiti d’onore del Med Film Festival.

Insegna più questa Odissea cinematografica autunnale romana di tanti, troppi trattati esondanti di ogni possibile interpretazione geo-politica, economica e militare, di analisi tanto vaticinanti quanto fallaci, di abbagli sotto il sole accecante della presunzione di sapienza e potenza. Questi film, invece, ci mostrano le vite e le lotte umane nelle città, nelle campagne, negli uffici pubblici, nei tribunali, nei commissariati di polizia, nelle galere, negli ospedali, nei bassifondi, nei sotterranei, illuminando il sottosuolo più nascosto della realtà. E su ognuna di queste esistenze, di queste vicende, individuali e collettive, l’alone solare, lunare, eolico del cielo politico, del mare sociale, del vento etico di tutte le società mediterranee nell’attuale flusso, film mondiale della globalità.

Non a caso il Med Fest quest’anno ha accomunato nel Concorso Ufficiale sia i film cosiddetti di finzione, sia i documentari. Una scelta opportuna che Ginella Vocca ha voluto e operato insieme al Direttore Artistico Giulio Casadei e al Programmer del Fest Gianfranco Pannone, autore, regista, maestro documentarista. Opportuna perché il superamento delle linee di confine tra fiction e realtà è insita in molte produzioni cinematografiche presentate nella rassegna. Già nella sua cerimonia di apertura il Festival lo ha chiarito, assegnando tre premi. Due premi alla Carriera Cinematografica: uno alla coraggiosa produttrice tunisina Dora Bouchocha, l’altro alla nostra grande regista Liliana Cavani. Poi il Premio Koiné ad Amnesty International. Premi consegnati rispettivamente dall’attrice Anna Bonaiuto e da Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, la cui vicenda è tornata di attualità sia politico-giudiziaria, sia cinematografica con il film Sulla mia pelle. Tre riconoscimenti, dunque, che premiano in sé l’unità tra cinema di qualità, d’impegno, di narrazione fiction e documentaristica. D’altronde il cinema di qualità – al di là del genere – non è mai solo riflesso, specchio della realtà, ma già direttamente realtà.

The day I lost my shadow, Il giorno che persi la mia ombra, della siriana Soudadde Kaadan, è una dimostrazione magistrale di tale fusione. L’autrice stratifica – lungo tutta la fiction – la forma del genere documentario da cui proviene. L’atroce dramma della guerra siriana è così narrato sia alla luce di un forte impatto realistico – imperniato attorno alla disperata ricerca di una bombola di gas per cucinare a un bambino –, sia sotto la luce di un significato esistenziale più universale, quello della perdita della propria anima, della propria ombra di ogni persona schiacciata dai cingoli della condizione bellica. In Con el viento, di Maittxell Colell Aparicio, ambientato in una selvaggia zona montana spagnola, la compenetrazione tra fiction e documentario è la chiave stilistica di tutta l’opera. Non nel senso, però, di un cosiddetto docu-fiction, ma di un’alta, nuova forma artistica di cine-narrazione. Specularmente, il documentario L’ile au tresor, L’isola del tesoro, di Guillaume Brac, girato all’interno di uno stabilimento balneare e parco acquatico lacustre, ha forti accenti di narrazione poetica, tanto fresca, spontanea quanto elegiaca. Questa real-fiction fusion, quale cifra stilistica del contemporaneo filmico, percorre tutta rassegna, nelle sue varie tonalità spettacolari, emozionali, di forma e contenuto. Per questo il Med Fest non è solo una meta-narrazione delle narrazioni mediterranee, ma una forma delle inedite forme attraverso cui il cinema non tanto esprime, quanto si fa realtà presente.

Le istituzioni politiche, culturali, scolastiche dovrebbero assumersi una seria, lungimirante responsabilità economica e programmatica nei confronti del Med Film Festival, perché esso costituisce una cruciale, strategica cerniera civile per quel Mare Nostrum, quel bacino mediterraneo interno ormai al Grande Raccordo Anulare di Roma, alle tangenziali autostradali, alle strade provinciali d’Italia e d’Europa.

di Riccardo Tavani