Quando anche la lotta alla droga diventa un tunnel oscuro: Rodrigo Duterte
Se nel combattere le dipendenze e i traffici illeciti muoiono oltre 8 mila persone, c’è qualcosa di sbagliato anche da parte di chi dice di essere “buono”. Da quando nelle Filippine è iniziata questa lotta alla droga ci sono stati 1,400 uccisioni solo nella città di Davao e oltre 7,000 morti nel resto del paese. Nei troppi “omicidi extragiudiziali”, in questa tolleranza zero, la maggior parte delle vittime non sono narcos dei cartelli della droga, ma piccoli spacciatori e tossicodipendenti.
Stiamo parlando del 16° presidente delle Filippine, il cosiddetto “Castigatore”, il “Donald Trump asiatico”, Rodrigo Duterte. Il politico filippino è anche noto per essere stato dal 1986 al 2016 (un monopolio) sindaco della città di Davao, ora sotto il controllo della figlia Sara (che continua).
Insediatosi ufficialmente il 30 giugno 2016, in linea con la sua campagna elettorale, ha avviato una dura repressione nei confronti delle organizzazioni criminali dedite al commercio di droga: Duterte ha parlato di reintrodurre la pena di morte ed ha invitato i cittadini a “sparare contro qualsiasi sospetto criminale”.
Ma per comprendere dove risieda “il marcio” basti pensare al caso di Jee Ick-Joo, manager di un’azienda sud coreana: il 18 ottobre scorso tre membri delle squadre speciali anti-droga della polizia nazionale filippina (Pnp), rapiscono l’uomo attraverso un falso mandato e poche ore dopo lo strangolano. Non solo, chiedono alla famiglia un risarcimento di 5 milioni di pesos filippini (94 mila euro) sebbene si fossero sbarazzati del corpo attraverso un ex poliziotto, ora operatore in un forno crematorio.
Il presidente Duterte ha chiesto scusa per l’accaduto, sostenendo in prima linea che nella polizia di stato ci sia una “corruzione sistemica”. Tuttavia, quando il presidente della Camera dei rappresentanti chiese le dimissioni, poi presentate, del capo della polizia, Ronald “Bato” dela Rosa, uomo fedelissimo del governo, Duterte le rifiutò. Per l’opposizione, tanto il presidente quanto dela Rosa erano a conoscenza di “attività illecite” nell’anti-droga.
Di recente un avvocato filippino, Jude Sabio, ha presentato un dossier di 77 pagine alla corte dell’Aja in cui denuncia “massacri ed esecuzioni”. Da notare che Sabio, lo scorso settembre, ha rappresentato Edgar Matobato, “l’assassino pentito” che ha dichiarato di essere stato parte dei gruppi anti-droga “non ufficiali”, autori della morte di un migliaio di persone. Pochi mesi dopo, a dicembre, lo stesso Duterte ha dichiarato di aver ucciso personalmente, negli anni in cui era sindaco, dei narcotrafficanti.
di Irene Tinero