7 febbraio 1990 moriva Giovanni Trecroci… …e noi lo ricordiamo
Si va indietro nel tempo di oltre vent’anni.
Un tuffo nel passato. Un tuffo doloroso ma anche necessario, perché chi ha detto no alla mafia non può e non deve essere dimenticato.
Un ricordo che fa ancora troppo male, ma che va mantenuto sempre vivo. Un ricordo che resta oltre il tempo.
Una storia che addolora il cuore. Una storia da non dimenticare.
7 febbraio 1990 Villa San Giovanni (RC). Ucciso Giovanni Trecroci, vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici. Ucciso dalla mafia degli appalti.
La mafia degli appalti e delle tangenti non vuole ostacoli, per questo alza il tiro.
Si uccide ancora a Villa San Giovanni (Reggio Calabria) e sullo sfondo ci sono sempre lavori pubblici, appalti e affari.
Giovanni Trecroci morto per mano di killer in un agguato di chiaro stampo mafioso.
L’esecuzione di un uomo pulito, un uomo che intendeva mettere le barriere all’infiltrazione della mafia nelle istituzioni. Ma le cosche che vogliono mettere le mani sulla città e sui ricchi appalti, che da anni cercano in ogni modo di controllare qualsiasi momento dello sviluppo urbanistico (Villa ricade nell’area dello Stretto e la sua economia è fortemente legata e condizionata dal rapporto con Messina e la Sicilia), si fanno giorno dopo giorno ancora più minacciose e spavalde.
È stato ucciso nella notte il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici.
Aveva da poco lasciato la sede municipale, dove si era tenuta una lunga seduta del Consiglio comunale di Villa San Giovanni.
Alla fine le solite cose: qualche battuta, qualche commento veloce, i saluti. Dopo i saluti con colleghi di giunta e di consiglio, con collaboratori e cittadini che avevano atteso la conclusione dei lavori, Trecroci era salito sulla sua vecchia Bmw color bordeaux e in dieci minuti aveva raggiunto Cannitello, una frazione pochi chilometri più in là, dove abitava. E davanti casa lo ha atteso il killer, se uno era. Lo ha aspettato sotto casa a mezzanotte circa, dopo il Consiglio comunale.
Pochi attimi dunque ed è arrivato sotto l’abitazione, meno di trenta metri dal mare, ha già parcheggiato la sua vecchia vettura amaranto e si accingeva ad entrare in casa, in quel momento è scattato l’agguato, nel buio, nel silenzio della notte. L’assassino è entrato in azione, appena il vicesindaco, sceso dall’auto, stava per chiudere lo sportello.
Appena fuori dalla sua macchina è stato freddato con una serie di colpi di pistola alla testa. Il killer lo ha sorpreso mentre chiudeva lo sportello e gli ha esploso cinque colpi con una calibro 9 da distanza ravvicinata. Micidiali pallottole di una calibro 9 canna corta.
Forse l’uso di un silenziatore, forse il passaggio di un treno (la ferrovia scorre a ridosso della fila di case che si snodano sulla costa) ha coperto il rumore degli spari. Nessuno ha sentito nulla. Nessuno ha udito gli spari.
È stato il cognato di Trecroci, Vincenzo Cassone, 25 anni, che, rincasando poco dopo ha scorto il corpo insanguinato accanto alla Bmw e ha lanciato l’allarme. Era ancora in vita, è spirato cercando di dire qualcosa, forse pronunciando un nome.
La polizia gli troverà strette nella mano destra le chiavi della macchina.
Secchi, precisi, rapidi, cinque colpi a bruciapelo, uno dopo l’altro. Così è stato ucciso Giovanni Trecroci, così è morto il vicesindaco DC e assessore ai Lavori pubblici. Così è tornato il terrore tra gli amministratori di Villa San Giovanni.
Quarantasei anni, docente di lettere nella scuola media della vicina Santa Eufemia d’Aspromonte, sposato, una figlioletta di appena un anno e mezzo e la giovane moglie in attesa di un altro bambino.
Giovanni è stato assassinato poco prima della mezzanotte mentre stava per rientrare a casa da solo, al termine del Consiglio comunale che si era protratto fino alle 23.00 circa. Aveva appena finito di parlare in Consiglio di una serie di pratiche urbanistiche molto delicate.
Il sicario lo sorprende vicino casa, a Cannitello, che affaccia sul mare. A casa ad aspettarlo c’erano la moglie Annamaria Cassone, incinta al sesto mese e la figlioletta Stefania.
Viene trucidato con cinque colpi di pistola in testa, dopo aver lasciato il Consiglio comunale. Ucciso quasi sul portone di casa. Era il 7 febbraio 1990.
Una tragica scomparsa avvenuta in modo cruento e quanto mai ingiusto.
A Villa c’è sgomento e paura.
È un colpo per la città dello Stretto, perché Trecroci è una persona molto stimata in città, è un professore capace, un amministratore che tutti considerano onesto e anche un educatore degli scout cattolici del Masci.
Gli inquirenti indicano nell’attività amministrativa della vittima il movente del delitto.
Trecroci era un amministratore intransigente. A quel posto di assessore da cinque anni doveva gestire decine di miliardi.
L’impegno più vicino riguardava gli ormai prossimi lavori per la metanizzazione di Villa San Giovanni e di altri dodici comuni limitrofi, per una spesa di 29 miliardi, ma già si guardava a quelli ancora più ricchi che interessano il potenziamento degli approdi navali per l’attraversamento dello Stretto.
È probabile, a detta degli inquirenti, che Trecroci non abbia voluto subire o accettare condizionamenti di chi vuole mettere le mani su questi appalti.
La vittima ripeteva spesso, parecchie volte gli avevano sentito dire: “Con me non la spuntano, gli appalti devono essere regolari”. Erano in gioco oltre duecento miliardi.
Esiste un forte, documentato interesse di clan mafiosi sull’assetto urbanistico della città, data la sua particolare posizione (è la porta d’Italia per chi arriva dalla Sicilia), c’è ancora una denunciata decennale pressione di forze ed interessi occulti mafiosi sul Consiglio comunale per pilotare le scelte di carattere urbanistico e ci sono poi in arrivo oltre 200 miliardi di investimenti per il nuovo porto a sud del centro abitato e per la metanizzazione di tutto il comune.
Tutto questo fa capire quanto qui sia asfissiante la presenza dei poteri criminali, il dilagare della violenza rende impossibile amministrare.
Gli amministratori a Villa implorano di non essere lasciati soli. Qui a Villa lo sanno tutti, bisogna fare i conti con una mafia spavalda i cui interessi sono stati quasi sempre legati alle vicende del piano regolatore generale.
E proprio qui, a Villa San Giovanni, dove sta per arrivare una montagna di miliardi per lavori pubblici, è stato assassinato il vicesindaco DC.
Aveva 46 anni Giovanni Trecroci. Nativo della provincia di Cosenza, si era trasferito da ragazzo con la famiglia a Villa San Giovanni, dove da molti anni svolgeva attività politica per la Democrazia Cristiana, divenendo consigliere comunale nel 1977 e assessore ai Lavori pubblici nel 1985. Ma l’attività politica e amministrativa non erano per lui una professione.
Di estrazione borghese, aveva scelto gli studi in lettere e attualmente insegnava nella scuola media di Santa Eufemia d’Aspromonte.
Da quando si era sposato con Annamaria Cassone, 31 anni, viveva nella piccola frazione di Cannitello, proprio all’imbocco dello Stretto di Messina.
Nessuna chiacchiera alle spalle, se aveva un difetto era quello di parlare chiaro.
In tutta la sua vita ha dimostrato di voler essere una persona normale, uno come tutti noi: un marito, un padre, uno scout, un insegnante e alla fine aveva accettato la responsabilità civile di amministratore pubblico.
Una grande figura da ricordare e non dimenticare che ha reso onore a Villa San Giovanni.
Ha dedicato la sua vita all’insegnamento coniugandolo con l’impegno politico. E’ stato per Villa un personaggio di spicco, assessore ai lavori pubblici e vicesindaco. Ha sempre basato la sua attività sulla trasparenza. Grande è quindi l’operato che Trecroci ha portato a termine prima che la sua vita fosse troncata così brutalmente. Era un professionista. Era determinato a cercare una svolta nella storia politica di Villa San Giovanni, che dal 1985 stava attraversando un periodo difficile, di continua e violenta faida tra famiglie legate alla ‘Ndrangheta.
Aveva la delega ai lavori pubblici quando lo massacrarono sotto casa.
C’erano i lavori di metanizzazione, 29 miliardi, gli approdi navali per l’attraversamento dello Stretto di Messina, 250 miliardi. Le ‘ndrine non volevano ostacoli. Volevano agire da sole, indisturbate.
La cittadina sullo Stretto, collegamento con la Sicilia, rimase presto insanguinata, e l’omicidio del vicesindaco è solo uno, e non l’ultimo, di una lunga serie.
La correttezza morale e i valori hanno animato il professore. Aveva applicato anche nella politica quel rigore morale e quella serietà che lo facevano amministratore apprezzato ed allo stesso tempo interprete e portatore dei valori propri dello scoutismo. Un impegno nel sociale e nella politica inteso come servizio alla città, impegno in famiglia e nella chiesa. La stampa lo ha sempre ricordato come un uomo per bene. Un grande uomo con la voglia ed il coraggio di combattere l’illegalità.
Solo che viveva e operava in Calabria, dove vige una regola ben precisa: “Con lei, o contro di lei”, la ‘Ndrangheta. Lui è contro. Viene barbaramente ucciso la notte del 7 febbraio del 1990 a Villa San Giovanni, a 46 anni, mentre era di ritorno a casa, dopo un Consiglio comunale al quale ha partecipato in veste di vicesindaco militante per la DC. I proiettili lo colpiscono senza preavviso. Pochi giorni dopo i funerali a Cannitello.
Una vita, una storia che ancora oggi da un lato fa rabbia e dall’altro commuove. Testimonianza di impegno per la legalità che ha patito sulla propria pelle la violenza della criminalità organizzata.
Giovanni, quella sera di ventisette anni fa, aveva salutato amici e colleghi dopo il Consiglio. Magari li aveva lasciati col solito “Ciao, ci vediamo domani”. Ma il domani che venne lo vide dentro una bara e lasciò tutti esterrefatti e pieni di angoscia. Lasciò un grande vuoto.
Grande figura umana e morale. Uomo quasi d’altri tempi, buono e sensibile, sempre disponibile. Non gli fu difficile accattivarsi la simpatia dei colleghi e di alunni. Chi ebbe la fortuna di stargli vicino poté scoprire il suo carattere vero, che non era affatto chiuso, ma anzi cercava lo sfogo, si apriva a confidenze che rivelavano un animo molto vicino ai problemi degli altri. Aveva la capacità di esprimere sempre una grande umanità.
Chissà come lo hanno ridotto. Chissà se sul suo volto si potevano leggere i segni di una immane sofferenza.
Facendosi uccidere lì, in quella strada semibuia, da solo, vicino alla sua casa, dove dormivano tranquille la sua sposa e la sua bambina, ha dimostrato di appartenere a quegli uomini ricchi di grandi idealità, che, pur vivendo con i piedi per terra, lottano per rendere più giusto e più umano il proprio paese.
Il suo messaggio è chiaro: bisogna che le persone si oppongano a questo stato di cose, non siano lasciate sole, così come solo fu lasciato lui.
Se qualcuno si ribella, se qualcuno ha il coraggio di opporsi e di gridare in faccia a questi signori della morte che vivono nell’illecito, che non conoscono la pietà perché il loro cuore è morto, se qualcuno ha il coraggio di gridare: “Io non ci sto!” ecco che subito viene schiacciato.
Lui, Giovanni, s’impegnò in prima persona, diede il suo contributo d’intelligenza, di cultura, di grande impegno civile. Fece fino in fondo la sua parte.
Lui, il professore Giovanni Trecroci, tenne la sua ultima lezione la notte di mercoledì 7 febbraio, lezione di morte, lezione di vita.
di Maria De Laurentiis