Paola Clemente: si può morire di lavoro?

Il 13 luglio 2015, Paola Clemente, bracciante 49enne, dopo una vita nei campi, è morta sotto il caldo della campagna pugliese.

Si è trattato di una sindrome coronarica acuta, ma forse è più giusto dire che è morta di stenti, di fatica, per schiavitù.

Paola partiva tutti i giorni da S.Giorgio Jonico, alle 2 di notte, per raggiungere “l’autobus del caporalato”, alle 3: iniziava così un viaggio lungo 300 km. Alle 5.30 giungeva presso le campagne di Andria e la giornata proseguiva tra i campi di Barletta, Canosa, tra Taranto e Brindisi. Rincasava tra le 15.30 e le 18.00.

Quel 13 luglio dai campi qualcuno chiamò Stefano, il marito: si era sentita male e il 118 la stava portando all’ospedale di Barletta. Più tardi, i caporali ritrattano e l’ospedale diventa quello di Andria. Stefano Arcuri cercò la moglie ovunque, non risultò essere mai entrata in nessun ospedale della zona e alla fine fu ritrovata direttamente al cimitero. Nessuna traccia di referti dell’autoambulanza.

E’ morta per 2 euro l’ora: la giornata lavorativa da 12 ore prevedeva una retribuzione di 27 euro, contro gli 86 euro che avrebbero dovuto percepire per ogni turno, distinti in 45 euro di paga base e ulteriori compensi per  la trasferta e lo straordinario in ore notturne.

D’altro canto però, per ognuna delle 600 braccianti, spettavano al caporale 12 euro, al fine di coprire “le spese di trasporto”: moltiplicati per tutte, danno una somma pari a 7.200 euro giornalieri.

Come se tutto questo non bastasse, risultavano forti incongruenze tra quanto riportato sulle buste paga e le effettive remunerazioni: una differenza di circa il 30% in più sulle buste, elaborata ad hoc per ottenere maggiori indennità previdenziali. Una truffa da 200.000 euro, in cui sono state omesse 943 giornate, a danno di operaie sottopagate.

Da quanto si apprende nelle testimonianze di molte braccianti, utili a ricostruire questi meccanismi, hanno tutte in comune terribili condizioni di povertà, sono madri di famiglia con mariti senza lavoro, molti ex operai Ilva, e si tace davanti a questi soprusi perché si ha bisogno di guadagnare, anche quel poco.

A quasi due anni dalla morte di Paola, le operazioni della Guardia di Finanza e della Polizia di Trani hanno arrestato 6 presunti colpevoli, tra cui il responsabile dell’agenzia interinale Infogroup di Noicattaro, che aveva dato vita a questa moderna forma di caporalato.

E’ un fenomeno che ha origini antiche e rappresenta ancora oggi un buon investimento per le organizzazioni criminali: un giro che coinvolge 400.000 lavoratori, italiani e stranieri, e costringe il 23% del settore agricolo al lavoro in nero.

La legge contro questo sistema, per quanto all’avanguardia,  risale al 18 ottobre 2016 ed è arrivata troppo tardi per la bracciante pugliese.

E’ curioso pensare che Paola sia morta durante l’acinellatura dell’uva: trattasi di una pratica agricola che prevede la rimozione degli acini rimasti più piccoli, rispetto agli altri cresciuti regolarmente. Si esegue per fini puramente estetici.

Non è forse la metafora di questo mondo? In cui non sembra esserci spazio per gli acini più piccoli, costretti a soccombere davanti la legge del più forte.

di Irene Tinero

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