Le schiave di Boko Haram, giovani rapite mai più tornate

Il 14 aprile 2014 l’organizzazione terroristica Boko Haram rapì 276 studentesse di un liceo inglese nella città di Chibok, stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Tutte tra i 15 e i 18 anni, erano colpevoli di rifarsi ad una istruzione occidentale, proibita dalla legge jihadista: 45 di loro riuscirono a fuggire durante l’agguato.

Appena il giorno prima, gli stessi terroristi si erano resi autori di un attentato in una stazione bus in cui avevano perso la vita 75 persone. Malgrado questo, nei giorni successivi al rapimento, il governo nigeriano preferì chiudersi in un silenzio, si direbbe “assenso”. Al contrario, l’opinione pubblicò si mobilitò in forti proteste per chiedere la liberazione delle giovani: una manifestante venne arrestata, per volere di uno stato apparentemente inerme, per aver sostenuto che l’allora presidente, Goodluck Jonathan, “negò persino che il rapimento fosse avvenuto”.

Anche la risposta della comunità internazionale non tardò ad arrivare da parte di personaggi di spicco come la pakistana Malala Yousafzai, premio nobel per la pace 2014: in prima fila ci fu il governo di Barack Obama e la campagna internazionale “Bring Back Our Girls” (Riportateci le nostre ragazze).

L’ipotesi più accreditata all’inizio fu che le giovani erano state vendute come schiave sessuali al confine tra Camerun e Ciad: 2,000 naira, o 8 $ se preferite, era la tariffa imposta dai miliziani. Tuttavia, a circa un mese dall’accaduto, Boko Haram divulgò un video in cui si mostravano le studentesse in hijab, uno dei tradizionali veli islamici, a dimostrazione della loro conversione all’Islam. La richiesta dei jihaidisti fu chiara: le ragazze in cambio del rilascio di alcuni loro affiliati in prigione. A questo filmato seguirono due anni di silenzio da parte dei terroristi.

Nel settembre del 2014 furono rilasciate 4 ragazze, riaccendo in tutte le famiglie un minimo di speranza: si scoprì solo in seguito che non erano parte delle oltre 200 liceali. A maggio 2016, persa nella foresta di Sambisa, fu ritrovata Anima Ali, la prima “sopravvissuta”: con lei c’era Safiya, la sua bambina di 4 mesi. Aveva 17 anni quando fu rapita. Seguì un’altra giovane e ad ottobre dello stesso anno furono liberate 21 ragazze, in cambio di quattro combattenti di Boko Haram: solo 3 di loro non avevano figli o non erano incinta.

In diversi video, l’organizzazione terroristica nigeriana parlò di “schiave del sesso”, di “circa 40 date in sposa in ‘nome di Allah’”, mentre altre sono state “addestrate per la guerra e alcune sono morte nelle varie incursioni”.

Tirare le somme alla fine di questo articolo risulta cosa semplice: hanno provato a rapire 321 giovani, ma di fatto sono riusciti a prendere 276; a tre anni di distanza sono tornate a casa appena 23 di loro. A questo si potrebbe aggiungere che solo in queste poche righe l’organizzazione terroristica di Boko Haram ha ucciso 351 persone: oltre 70 nell’attentato terroristico ricordato all’inizio e tutte le famiglie e le ragazze coinvolte, anche quante si sono “salvate”, da questo tunnel che non offre alcuna via d’uscita.

di Irene Tirnero