Lo ius culturae è rivoluzionario, ma rischia di escludere gli ultimi.

La discussione del testo della riforma della cittadinanza, ferma in Senato dopo l’approvazione a ottobre alla Camera, è stata finalmente calendarizzata per la fine di luglio. Gli oltre 8000 emendamenti a carattere ostruzionista presentati in gran parte dalla Lega Nord rendono tuttavia una seria discussione politica impraticabile e delineano una sempre più concreta possibilità di porre la fiducia da parte del Governo.
La riforma della cittadinanza modificherebbe la legge del 1992 attualmente in vigore che stabilisce che i figli nati in Italia da genitori stranieri possono fare richiesta per ottenere la cittadinanza italiana nei primi dodici mesi dal compimento dei 18 anni e a condizione che abbiano legalmente e ininterrottamente risieduto in Italia fino a quel momento. Un iter lungo, dispendioso e non senza difficoltà, perché dimostrare la residenza continuativa per 18 anni senza aver mai lasciato il Paese per più di 90 giorni l’anno è spesso non facile.

Con la riforma si introdurrebbe il principio dello ius soli temperato, in base al quale potrebbero richiedere la cittadinanza i figli di genitori stranieri di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente, se cittadino UE, o in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, se cittadino extra-UE. Per ottenere quest’ultimo però sono necessarie tre condizioni: un reddito minimo superiore all’importo annuo dell’assegno sociale, la disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge e il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Dei criteri che diventano di fatto discriminanti per la richiesta della cittadinanza e come tali sono stati denunciati con forza in particolare dall’associazione delle seconde generazioni Rete G2, che ha redatto la proposta di legge vedendola poi mutata in diversi punti, tra cui questo, che rende l’accesso alla cittadinanza in pratica una questione di censo.

E’ in questo senso che lo ius culturae, insieme al rilassamento della norma sulla naturalizzazione, costituisce una rivoluzione. Con entrambe le norme si legherebbe l’acquisizione della cittadinanza al diritto-dovere dell’educazione, inscritto nella Costituzione italiana. Con lo ius culturae il minore nato in Italia da genitori stranieri o che vi sia giunto prima dei 12 anni e abbia frequentato e concluso con successo i cinque anni di scuola primaria o un altro ciclo scolastico, potrà vedersi riconosciuta la cittadinanza previa richiesta di un genitore legalmente residente in Italia e se questo non dovesse accadere, il diretto interessato potrà farlo lui stesso tra i 18 e i 20 anni. Con il rilassamento della norma sulla naturalizzazione, anche colui che invece sia arrivato in Italia tra i 12 anni e prima del compimento della maggiore età potrà chiedere di ottenere la cittadinanza purché abbia risieduto per almeno 6 anni legalmente in Italia e abbia completato un ciclo di studi nel Paese. In questo caso però la concessione della cittadinanza sarebbe a carattere discrezionale.

Da una parte lo ius culturae si prospetta come rivoluzionario, perché svincolerebbe sempre di più l’accesso alla cittadinanza dallo status del genitore. Infatti, poiché la scuola è aperta a tutti e anche i bambini presenti irregolarmente sul territorio possono, e devono, accedervi, si apre uno spiraglio per il riconoscimento futuro della cittadinanza a questi futuri maggiorenni. Tuttavia, è anche vero che subordinando l’accesso alla cittadinanza al godimento del diritto all’istruzione, che pur rende possibile la socializzazione del minore nella società italiana, la riforma comporterebbe che se il diritto all’istruzione venisse leso anche quello di accesso alla cittadinanza lo sarebbe. Si pensi al caso dei bambini, non tutti né la maggior parte, ma comunque presenti, residenti nei campi rom, che sono italiani de facto ma nati da genitori stranieri irregolari perché magari fuggiti dalla Bosnia e mai regolarizzati, che spesso faticano ad accedere alla scuola. Questi sono minori ai quali i diritti verrebbero doppiamenti negati.

Nonostante questo, la riforma rappresenta un grande passo avanti rispetto alla legislazione attuale. Per questo passo si è atteso fin troppo e troppe vite di giovani italiani potenzialmente viaggiatori e cosmopoliti, veri cittadini europei, sono state ingiustamente rallentate. E’ tempo di rendere queste persone libere di gestire la propria vita e approvare questa riforma.

di Giulia Montefiore

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