Gli schiavi dei giorni nostri muoiono coltivando nei campi: ciao Giuseppina

Quando a morire è stata Paola Clemente, bracciante di San Giorgio Ionico, si diede la colpa all’assenza di tutele e si invocò a gran voce una legge contro il caporalato, che poi di fatto è arrivata. Eppure stavolta, sebbene in presenza di tutele sulla carta, non è stato possibile evitare la stessa sorte alla 39enne Giuseppina Spagnoletti, morta il 31 agosto nei campi di Ginosa, in provincia di Taranto. Era il suo primo giorno di lavoro per quella azienda di Montescaglioso, il cui principale ora è il solo iscritto nel registro degli indagati. Per il momento.

Giuseppina era originaria di Bernalda, in provincia di Matera: quella mattina arrivò sui campi alle 6 e mezza. Stava piantando finocchi quando, intorno alle 11, si è accasciata ed è morta. Se Paola Clemente non sembra essere mai entrata in nessun ospedale, in questo caso è stata chiamata sia un’ambulanza che un elicottero. Ma non c’è stato niente da fare per Giuseppina. Il 6 settembre amici e parenti l’hanno salutata per l’ultima volta nel suo paese d’origine, Lizzano.

Testimoni riferiscono che la donna soffrisse di una grave cardiopatia: altro punto in comune con Paola Clemente, che però non è morta per un cuore difettoso, ma perché sfruttata e sottoposta a ritmi di lavoro estenuanti. Ora la procura di Taranto, sotto la guida del magistrato Giorgia Villa, indaga per accertare se la Spagnoletti fosse costretta nelle stesse condizioni lavorative, che ne potrebbero aver determinato il decesso. Addirittura in questo caso ci si domanda se ci fosse o meno un contratto in essere. Il reato ipotizzato è omicidio colposo.

Nel caso di Paola Clemente, morta nei campi di Andria a 49 anni il 13 luglio del 2015, la procura di Trani dispose 6 arresti e fu accertata una condizione di sfruttamento. Ne seguì una legge “anti-caporalato”, che ben distingue la figura del caporale e del datore di lavoro e punisce il primo per “intermediazione illecita” e il secondo per “sfruttamento”. La legge accerta inoltre una condizione di bisogno e necessità estrema, comune a tutti i lavoratori che quindi accettano paghe da miseria, orari incessanti, senza tutele e sicurezze. Quello del caporalato è un fenomeno che coinvolge 400 mila lavoratori, indifferentemente italiani e stranieri, e costringe il 23% del settore agricolo a lavorare in nero.

Paola Clemente è morta per 27 euro al giorno, Giuseppina Spagnoletti esattamente per la stessa cifra: le erano stati promessi 30 euro per turni da 12 ore. E non ha fatto neanche in tempo a prendere quel poco. Il sentire comune cataloga questi come “i lavori che nessuno vuole più fare” e forse Giuseppina doveva essere sul lastrico e pur di lavorare era pronta ad accettare qualsiasi cosa. Forse quello che “nessuno vuole più fare” è dover lavorare in condizioni di sfruttamento, senza alcun rispetto per la vita e la dignità umana. Forse quello che non dovrebbe più accadere è morire a 39 anni in un campo agricolo, sul posto di lavoro, per due euro l’ora.

di Irene Tirnero