Le voci del coraggio messe a tacere: da Anna a Gauri, il progressismo del mondo ha ricevuto i colpi peggiori

La storia si ripete. Oltre dieci anni fa a morire rientrando a casa, dopo l’ennesima dura giornata di lavoro spesa a raccontare la verità, fu Anna Politkovskaja, giornalista russa. Un sicario, probabilmente assoldato per l’occasione, le sparò nel palazzo di casa. Il corpo fu ritrovato nell’ascensore dello stabile il 7 ottobre 2006, il giorno del compleanno del presidente Vladimir Putin, spesso oggetto delle critiche della giornalista e da molti considerato il mandante dell’omicidio.

Ora va in onda lo stesso film, solo in altro emisfero: la sera del 5 settembre scorso, nel quartiere di Bangalore, India, un commando di uomini si è avvicinato alla giornalista indiana Gauri Lankesh e le ha sparato 7 colpi, lasciandola a terra senza vita. Aveva 55 anni.

Da diverso tempo la giornalista dirigeva insieme al fratello, Indrajit, il giornale “Lankesh Patrike”: dalle sue colonne, Gauri si scagliava contro il fondamentalismo indù e la politica delle caste, che sta immobilizzando l’India. La sua critica laicista era nota alla destra del Paese e al Bharatiya Janata Party (Bjp), “il partito del popolo”, noto per essere estremamente conservatore.

Inoltre, di recente la Lankesh, in diversi post pubblicati su Facebook, si era espressa in difesa della minoranza musulmana Rohingya, popolo perseguitato in Birmania e considerato ad oggi “il meno voluto al mondo”, e aveva chiesto la piena affermazione dei diritti gay.

Tutti la conoscevano come “Gauri”, a dimostrazione della semplicità che pervadeva questa penna così tenacemente impegnata per il suo paese: aveva mosso i primi passi nel “The times of India” e da lì era partita la sua scalata, sempre spesa in difesa del progressismo e contro i limiti che frenano la sua terra. Fonti di stampa indiane hanno espresso il loro cordoglio dichiarando che “è stata messa a tacere la voce del coraggio”.

Al momento si sta seguendo la pista della criminalità organizzata, che non sembra però soddisfare l’opinione pubblica: secondo lettori e seguaci della Lankesh sarebbe più giusto dar seguito a chi attribuisce questo omicidio ai fondamentalisti indù, gli stessi da cui provenivano gli uomini che nel 2015 hanno ucciso lo scrittore M. M. Kaliburgi, da sempre dichiaratosi contro le superstizioni induiste.

In India chi non viene ucciso finisce oggetto di campagne diffamatorie: famosa era quella in cui i giornalisti contrari all’ideologia del Bjp erano stati definiti da quest’ultimi come “presstitute”, dall’unione della parola “press”, (stampa) e “prostitute” (prostituta). Ora però dal partito populista indiano si difendono: “Dire che l’uccisione di Gauri Lankesh sia opera di gente che la pensa come noi, è sbagliato ed ingiusto”.

Fatto sta che una donna ha perso la vita, una mente eccelsa dell’India non c’è più e non sapremo mai fino a che punto questa donna avrebbe saputo trainare positivamente il suo paese.

di Irene Tirnero

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