Ponte ponente ponte pì…. inizia la filastrocca delle responsabilità

Il tragico crollo del ponte Morandi è uno di quegli avvenimenti che colpiscono e si incidono con forza nel nostro animo; non soltanto per il dolore della perdita di tante vite umane, per la condivisione dell’angoscia di tutte le persone in qualche modo coinvolte in questo dramma, ma anche per l’improvvisa perdita di fiducia in quelle strutture che tante volte abbiamo percorso e continueremo a percorrere: d’ora in avanti non riusciremo più a non ricordare con ansia quell’evento ogni volta che ci troveremo a passare su un ponte o un cavalcavia – e non è possibile viaggiare per il nostro difficile territorio senza farlo. Una vocina interna ci chiederà ogni volta: reggerà? Forse questo avrà un risvolto utile: ci impedirà di dimenticare, come troppo spesso succede quando le tragedie si allontanano nel tempo. Una sfiducia sottile si è insinuata nella nostra mente. È, purtroppo, un’altra ombra nel rapporto tra i cittadini e lo Stato. Perché, in fondo, non si può non pensare che sia lo Stato il controllore finale delle infrastrutture che crollano, come delle scuole che non resistono ai terremoti, come degli ospedali che funzionano male. Questa responsabilità è inevitabile, anche se lo Stato delega alcune funzioni; è una responsabilità implicita nella sua stessa ragion d’essere.

Per questo è importante il ruolo del governo, di qualunque colore esso sia. Perché rappresenta e realizza in concreto le funzioni dello Stato. Non può abdicare alle responsabilità implicite nella sua stessa ragion d’essere.

Ma anche i ponti hanno la loro funzione e non devono crollare.

Sono ancora in uso ponti costruiti più di 2.000 anni fa. Non solo i ponti di Roma su cui ancora oggi passiamo (Milvio, Sant’Angelo, Cestio eccetera) ma le decine e decine sparsi per l’Europa, la Siria, la Turchia; come il Pont du Gard, con i suoi 275 metri di lunghezza e quasi 50 di altezza, che sta in piedi da due millenni senza poi tanta manutenzione. Siamo così peggiorati in 2000 anni di progresso?

Quindi è giusto chiedersi perché un ponte crolla: non è soltanto per un dovuto accertamento di responsabilità, ma soprattutto per capire dove stiamo sbagliando, perché con tutta la tecnologia e la scienza moderna facciamo peggio dei nostri antenati. In altre parole, perché siamo così meno civili.

Secondo me, un ponte crolla, prima di tutto, perché è sbagliato. Non lo dico per conoscenze  tecniche, ma per buon senso. Qualunque progetto non può non contenere un suo programma di manutenzione. Per esempio, se compro un’automobile, mi danno insieme le indicazioni di quando cambiare l’olio, le pasticche dei freni e le cinghie di trasmissione. Sono previste nel progetto. Sono stabilite dagli ingegneri che l’hanno progettata; è loro responsabilità.

Spulciando nel web, trovo un’ANSA del 18 agosto, che riporta alcune dichiarazioni del progettista del ponte (l’ingegner Morandi) risalenti al 1979, quasi quarant’anni fa. Proprio lui osservava che la salsedine marina, i fumi delle industrie vicine e lo stress del traffico stavano  corrodendo il cemento e che “prima o poi” si dovranno proteggere le strutture con “resine epossidiche” ed “elastomeri ad altissima resistenza chimica”. In altre parole, il progettista stesso ha dichiarato che i materiali usati non erano idonei a quell’ambiente, non resistevano agli agenti cui il ponte era esposto per la vicinanza al mare e alle fabbriche e che, guarda un po’, caratterizzano l’area in cui il ponte è stato costruito. Fin dall’inizio, perché mare e fabbriche già c’erano. Ma allora perché quel tipo di ponte? Perché non usare dall’inizio i materiali  auspicati nel ‘79 e prevedere fin dal progetto un protocollo di manutenzione come si fa per un’automobile?

Voglio dire che ci sono stati errori, dal 1967 ad oggi, che coinvolgono tutto ciò che riguarda quel ponte (e chissà quanti altri), dal progetto alla manutenzione. E riguardano tutti i gestori delle autostrade che si sono avvicendati nel corso di un cinquantennio. E tutti i governi che non si sono posti adeguatamente il problema della sicurezza delle nostre strade. E tutti i partiti che hanno votato quei governi e le leggi che regolano le concessioni. Salvini era al governo che ha regalato ad Autostrade una concessione comoda e lucrosa, con il PD che votava contro per ottimi motivi. Il PD era al governo che l’ha prorogata, senza correzioni e senza realizzare (come pure il governo precedente) i necessari sistemi di controllo.

Di fronte a queste ampie responsabilità politiche, l’attuale governo, secondo me, ha avuto una gran paura di essere travolto; perciò si è scagliato contro l’ultimo (in ordine di tempo) responsabile: il concessionario delle autostrade. Meglio trovare un facile capro espiatorio, che delle responsabilità – comunque – le ha, ed ha guadagnato miliardi sulla gestione (sempre col favore di del governo di turno). E, quindi, è molto antipatico: il capro espiatorio ideale. Una volta indicato il colpevole, fa sorridere la successiva istituzione di una commissione d’inchiesta governativa. Un processo, se il giudice ha già pronunciato la sentenza, è soltanto una farsa.

E, infatti, farsa voleva essere.

Ferrazza e Brencich (presidente e membro di questa commissione d’indagine) hanno fatto parte del comitato tecnico che, nel febbraio scorso, ha approvato il progetto di ristrutturazione del ponte, senza segnalare un imminente pericolo di crollo, né prevedere drastiche misure di sicurezza in attesa della ristrutturazione. Non si capiva che avrebbero dovuto, in un certo senso, indagare anche su se stessi?  E che gli sarebbe stato difficile giudicare con obiettività se la catastrofe era o no prevedibile ed evitabile? La rimozione di Ferrazza e le dimissioni di Brencich sembrano essere una ammissione di balordaggine ministeriale, una “pezza” che non nasconde lo strappo. Ed anche i loro sostituti, discutibili a vario titolo, sembrano voler confermare una sostanziale difficoltà a ragionare, che è l’aspetto più allarmante della vicenda.

Non voglio dire, con questo, che se molti sono i colpevoli non c’è nessun colpevole. Voglio dire, piuttosto, che colpevole è un sistema complesso, di cui fanno parte tecnici, politici e forze economiche. Dobbiamo riflettere meglio su alcuni fatti di fondo. Per esempio, sulle strategie di sviluppo economico-industriale e di pianificazione e governo delle infrastrutture. Sull’influenza dei potentati economici. Su chi può finanziare  i partiti e chi non proprio non deve farlo. Su come i cittadini possono controllare i loro delegati. In altre parole, su come ripristinare criteri di ragionevolezza e onestà al posto degli interessi privati mascherati da scelte politiche più o meno demagogiche. Perché se no ci troveremo di nuovo a dover cercare un capro espiatorio, anziché reindirizzare la politica verso scelte più serie e meditate.

È questo un cambiamento possibile, ma nessuno (neanche il sedicente “governo del cambiamento”) ha messo in cantiere non dico questo tipo di azione, ma neanche questo tipo di discussione. Anzi, ha adottato un atteggiamento un po’ da “bar dello sport”: i colpevoli sono indicati prima di indagare, silenziando i legittimi dubbi sull’opaco operato di chi del governo fa parte. E sul vuoto di idee della classe politica presente e passata.

Ma non basta: si promette che gli investimenti necessari si faranno aumentando il debito pubblico  (cioè sulle spalle dei nostri figli) anziché fare delle scelte di priorità economica. Cioè tagliando spese inutili (ma perché non se ne parla più, anche se continuano ad esserci?) per sostenere gli investimenti.

No, un governo non può essere così irresponsabile. Non può basare il suo successo sul fare la voce grossa. Non può essere privo di equilibrio e saggezza. L’azione di governo non è solo campagna elettorale. E per risolvere i problemi bisogna conoscerli bene, evidenziare le contraddizioni, avere progetti di lungo respiro: la politica del capro espiatorio porta poco lontano, crolla nella confusione e miete vittime, come il ponte Morandi. E, ovviamente, le vittime siamo noi.

di Cesare Pirozzi

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