Bagno a Ripoli, bullizzato perché down

C’è un filo invisibile che collega gli adesivi di Anna Frank e Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze. È sempre una storia di ignoranza e odio. Protagonista questa volta è Olmo, bambino di 14 anni affetto da sindrome down. Olmo gioca a pallone, si allena tutte le settimane. Un giorno però, negli spogliatoi del campo sportivo, tre compagni di squadra lo obbligano a mangiare la merenda, un pezzo di schiacciata, dopo averla buttata sotto la doccia.
“Cambiamolo questo mondo… Tu hai tanti amici che, a differenza di quei tre, ti vogliono bene perché sei te. Perché sei Olmo. Non per pietà o per fare una buona azione! Sei fortunato, che sono più gli amici che vogliono ridere con te di quelli che vogliono ridere di te…e non con uno scherzetto! E a tutti i miei amici genitori dico che per fortuna ci sono ancora ragazzini che non si piegano ai soprusi, che denunciano, che chiedono giustizia, che mettono a repentaglio la loro tranquillità, per un Amico”. Si sfoga così la mamma di Olmo, chiamando in causa un amico di Olmo, che da solo ha avuto il coraggio di opporsi ai bulli, difendere un amico e raccontare tutto.
“A Olmo non posso che dire: è la tua grande passione giocare a calcio, continua a farlo perché hai tanti amici che ti aiuteranno a proseguire. Non pensare a chi è meno amico, pensa che in tanti sono pronti ad aiutarti”. afferma Paolo Mangini, del Comitato Regionale Toscana per conto della Figc.
Ma la ruota gira, i carnefici diventano vittime. Su facebook, infatti, sono centinaia i commenti offensivi nei confronti dei tre bulli. Ancora una volta è la mamma di Olmo a placare gli animi: “Non devono essere isolati o messi alla gogna. Non è certo quel che vorrei che passasse, non vorrei che i tre ragazzini, e le loro famiglie, si sentissero braccati”.
La storia di Bagno a Ripoli è la miniatura di tante altre vicende più grandi. Al centro c’è ancora l’educazione, la sfida dell’insegnamento nei confronti di chi insulta e predica odio. Il coraggio di parlare, di difendere, di opporsi a tutto questo.
A molti ultras servirebbe il coraggio di M., l’amico di Olmo. A molti presidenti, giocatori, dirigenti di calcio, anche.

di Lamberto Rinaldi