Ambasciator non porta pena

1676, una brutta Storia. Una Storia di quelle che lasciano l’amaro in bocca, una storia di prepotenza. I protagonisti sono una guardia pontificia, uno sbirro e l’ambasciatore del Portogallo con i suoi scagnozzi.

Tra i vicoli di Roma, due uomini in divisa stavano facendo il loro lavoro. Uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo. Erano di ronda, nelle strade di una Roma malfamata. Pattugliavano quelle vie piene d’insidie, specialmente per chi portava una divisa. Ma quel giorno non sono i delinquenti romani che devono temere. Questa volta a far paura è la diplomazia, sotto forma di un ambasciatore.

Era il 19 di maggio del 1676, Roma viveva una delle sue belle giornate di primavera inoltrata. La guardia, un caporale di cognome Molino e il poliziotto pontificio di nome Andrea, con attenzione, perlustravano gli stretti vicoli. Le campane delle chiese rintoccavano il mezzogiorno. Lungo vicolo dei Lattaroli gli si fece incontro una carrozza. Il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle ruote sui duri sampietrini, riempirono il vicolo. Caporale e sbirro si accostarono al muro di una casa per lasciare il passaggio. Riconoscendo lo stemma di un’ambasciata, si tolsero il cappello in segno di riverenziale saluto. Ma qui la sorpresa. La carrozza si fermò bruscamente, i cavalli nitrirono con le briglie tirate. Il vicolo diventò all’improvviso più stretto di quanto fosse in realtà. Dalla carrozza uscirono alcuni uomini armati. Mentre dal vicolo altri stavano arrivando lì di gran corsa muniti di bastoni. In primo momento la sorpresa li fece rimanere disorientati. Poi, capita la mala parata, tentarono di scappare. Il primo che lo fece fu il Caporale Molino. Percorse solo pochi metri, fu preso e subito immobilizzato. Prima lo ferirono con le lame delle spade, poi lo bastonarono di santa ragione, lasciandolo sanguinante e mezzo morto sui grigi sampietrini. All’altro va peggio, l’altro è uno sbirro pontificio, forse è un segnale che si vuole dare. Fu accoltellato al ventre. Campò fino al giorno dopo. Morì all’ospedale della Consolazione.

Strano fatto, tutta Roma ne parlò. Strano, ma perché? È chiaro, che era premeditato. Un agguato in piena regola. Poi, perché non c‘era un apparente motivo di tanta violenza e fatta davanti a tanti testimoni. E poi perché la brutalità di quei diplomatici? l romani si interrogarono. I colleghi dei due sfortunati nel frattempo fecero le indagini.

Secondo loro si trattava di un avvertimento. Ma rivolto a chi? Che diavolo potevano aver fatto quelle due guardie ad un ambasciatore? Le indagini cominciarono a prendere la piega giusta. Si venne a sapere che circa un mese prima il Caporale, aveva perquisito una casa. L’abitazione di una sospettata di furto. Però rimaneva un dubbio, per quale ragione l’ambasciata portoghese avrebbe avuto di che risentirsi? Ludovico de Sousa, l’ambasciatore, non avrebbe gradito questa perquisizione, ordinando ai suoi di dare una lezione alle guardie pontificie. A suo dire, i poliziotti del pontefice, non osavano mettere piede nei pressi delle ambasciate francesi o spagnole e secondo de Sousa, il Portogallo non doveva essere da meno. Probabilmente l’abitazione perquisita era utilizzata dai diplomatici portoghesi. Questo probabilmente era il motivo della lezione.

Urgeva ripristinare le regole di una tacita diplomazia. Si chiese all’ambasciatore del Portogallo la consegna dell’uomo, che aveva accoltellato lo sbirro, ma ricevettero un netto rifiutò.  Il Papa, Clemente X, protestò, fece anche pressioni sul governo portoghese. Il risultato che ottenne? Solo minacce fatte al nunzio papale in terra lusitana.
ll fatto oramai aveva preso una piega internazionale. I rapporti tra Roma e Lisbona erano diventati tesi. I portoghesi non cedevano. Alla fine il delitto rimase impunito. Più avvilente fu che l’ambasciatore ottenne la sua giurisdizione, come era riconosciuta alla Francia e alla Spagna. Uno sbirro morto si dimentica presto, tanto che nelle carte che ricordano questa storia, non è riportato neanche il suo cognome, solo il nome, Andrea. È proprio vero, “ambasciator non porta pena”.

di Antonella Virgilio

Print Friendly, PDF & Email