Le Palestre dei Gladiatori

Muscoli tesi, gonfi, pronti a scattare, attaccare, difendersi. Corpi scolpiti con un nome. Gladiatori, uomini, schiavi o condannati a morte, ma sempre uomini.

Attori di uno spettacolo, protagonisti di giochi mortali. Entravano nell’arena consapevoli di giocare per la loro vita. Gladiatori, osannati dal pubblico, uomini gloriosi quando vincevano, da ricordare quando morivano in combattimento. Vivevano gli ultimi istanti di vita, sentendo le grida di condanna a morte echeggiare nell’arena. L’imperatore, decideva. Un pollice era la sentenza. Vita, pollice sopra, morte, pollice sotto. Solo i più bravi, i migliori riuscivano a conquistarsi dopo molti combattimenti vincenti lo status di uomo libero. l giochi erano per i romani una vera e propria passione. Duravano anche mesi. Principalmente erano di quattro tipi, “teatrali”, “circensi”, “atletici” e “venatori”. Questa passione aveva origini antichissime, dicono che risalga all’abitudine funeraria di sacrificare vittime umane, schiavi o prigionieri di guerra, sulle tombe di personaggi illustri.

L’organizzazione dei giochi aveva quasi sempre una ragione religiosa, propiziatoria o celebrativa. Potevano essere pubblici, ossia organizzati dallo Stato, od organizzati da privati, previa autorizzazione del Senato. Il primo spettacolo di cui si ha notizia risale al 264 a.c. Giochi costosi, non solo per il “prezzo” di vite umane, ma anche per le maestose scenografie e la continua sostituzione delle fiere e animali uccisi.

Questi uomini non si improvvisavano lottatori e combattenti dall’oggi al domani. Avevano un proprio modo di prepararsi che variava secondo i ruoli che ognuno assumeva nei combattimenti. Vere e proprie palestre, fondate da Nerone e da Cesare erano frequentate da questi campioni. A Roma, le più famose erano quattro. Ludus Matutinus, Ludus Gallicus, Ludus Dacius e Ludus Magnus.

La Ludus Magnus era la più vicina al Colosseo, i suoi resti, sono visibili, tra le vie Labicana e di S. Giovanni in Laterano. Questo luogo di preparazione fu costruito da Domiziano, la sua scoperta risale al 1937, ma gli scavi furono terminati tra il 1959 e il 1961 portando alla luce, le vestigia di un edificio rettangolare che era a tre piani, fatto da palestre e da alloggi per gli stessi gladiatori. La Ludus Magnus era collegata, tramite un lungo corridoio, ai sotterranei del Colosseo.

Disciplina ferrea, punizioni corporali e torture, servivano per forgiare e temprare il gladiatore. Fuoco e frusta, esercizio fisico e severità. Trasformavano in macchine da combattimento quell’insieme di muscoli che prendevano giorno dopo giorno forma e rendevano imponenti e spaventosamente forti questi uomini. Al termine del periodo di addestramento i combattenti venivano raggruppati in “compagnie”.

L’ingresso nell’arena era svolto come un rituale. I gladiatori entravano in scena a piedi o su carri si avvicinavano sotto la tribuna dell’imperatore, mentre i suonatori squillavano le trombe, essi gridavano le parole “Ave cesare morituri te salutant” (“Ave Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano”). Poi si apprestavano a prendere l’arma per combattere, che variava a secondo la categoria di appartenenza.

Gladiatore prende il nome da gladio, una specie di spada corta e leggera adeguata proprio al combattimento corpo a corpo. L “retiarii”, ispirati al Dio Tritone, lottavano seminudi armati di una rete, un tridente ed un pugnale. I “mirmilloni” invece avevano un elmo, uno scudo ed erano armati di una falce, i gladiatori, che facevano parte della categoria dei “sanniti” indossavano un elmo munito di creste una forte armatura ed impugnavano un giavellotto.

Ma il tema era sempre lo stesso, il gioco. Solo che si giocava con la vita e con la morte. Si trovano nei resti nelle arene di combattimento, sparsi in tutto il territorio colonizzato dai romani, le incisioni dei nomi di uomini che combattendo per la loro vita si erano guadagnati l’onore delle cronache di quei tempi. Molti film hanno portato sul grande schermo le gesta dei gladiatori, film come “Spartacus” con Kirk Douglas o come il recente “Gladiatore” con Russel Crowe, con scene che dimostrano la crudezza e la ferocia dei combattimenti.

Non c’era tregua, non c’era pietà, se non si moriva combattendo tra uomini, si moriva lottando con le fiere. Leoni, tigri e belve varie erano di cornice nell’arena. La sabbia dell’anfiteatro alla fine era sempre rossa, rossa del sangue di chi moriva. Ma sì è andato avanti per secoli, fino a che l’imperatore Onorio, di fede cristiana nel 404 d.c,. ha messo fine a tale atroce ed inutile spettacolo.
Oggi il Colosseo, detto anche Anfiteatro Flavio, viene ricordato per essere stato il teatro di tali aberranti combattimenti e per il gusto del cruento di spettatori esaltati, altre, per la sua imponenza, come il simbolo della grandezza dell’Impero Romano conosciuto in tutto il mondo e noto come il più grande anfiteatro del mondo, appunto “colosseum”, colossale ed espressione di una ideologia in cui la volontà celebrativa giunge a definire i modelli per lo svago e il divertimento del popolo.
Fu l’imperatore Cesare Vespasiano Augusto a far  erigere il nuovo anfiteatro destinato a fama mondiale con il provento di bottini di guerra.
« Taccia la barbara Menfi il prodigio delle piramidi, né il lavoro degli Assiri esalti più Babilonia; né siano celebrati gli effeminati Ioni per il tempio di Diana; l’altare dei molteplici corni faccia dimenticare Delo; né i Cari portino più alle stelle, con lodi sperticate, il Mausoleo proteso nel vuoto. Ogni opera cede dinanzi all’Anfiteatro dei Cesari, la fama parlerà ormai d’una sola opera al posto di tutte » Così scrive Marziale (Liber de spectaculis)

di Antonella Virgilio