Il femminismo non ha genere

Pochi giorni fa è stata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Tante parole si sono dette, tante promesse, tanti slogan. Mi sembra quasi di sentirlo, il rumore del vento che se le porta via queste parole.
La violenza sulle donne è un apice, il culmine di una cultura malata che osserva il mondo con occhi maschili. Una cultura malata che vive, in misura diversa, in tanti di noi. E con tanti intendo gli uomini quanto le donne.
La condanna espressa nei confronti della violenza sulle donne è, o dovrebbe essere, un’ovvietà; chiunque coltivi in sé un germe di umanità non potrebbe esprimersi diversamente.
Prima della violenza ( fisica e psicologica), delle molestie, delle discriminazioni sul posto di lavoro esiste però una zona grigia, brulicante di pregiudizi e di luoghi comuni, di ignoranza e di bigotteria , di paura maschile e femminile per qualcosa che ci sembra essere così da sempre, qualcosa da cui ci facciamo trasportare senza forse nemmeno chiederci se sia possibile remare nella direzione opposta.
La violenza sulle donne è il punto di non ritorno di un società che, dietro una facciata costruita su una scintillante pseudo-libertà, ci chiede ancora di essere mogli, madri o amanti ( e non utilizzo termini che mi sembrano più calzanti solo per non scadere nella volgarità).
Ci insegnano che dobbiamo piacere agli uomini, ci insegnano a preoccuparci del giudizio degli uomini, pendente sul nostro capo come una ghigliottina pronta a tagliarci fuori dalla società. E gli uomini ci giudicano o ci hanno giudicato, almeno una volta nella loro vita, in quanto donne.
Hanno giudicato le nostre scelte, la nostra vita sessuale, il nostro aspetto fisico, il nostro lavoro o la nostra natura perché siamo donne. Se c’è anche solo un uomo che in questo momento sta leggendo queste parole, vorrei che si fermasse un attimo e si chiedesse se gli è mai capitato di ergersi a giudice di una donna semplicemente perché donna.
Gli uomini ci giudicano, ci soppesano, ci relegano in un angolo di mondo perché così sono stati educati da padri e da madri. Perché così noi donne, per prime, accettiamo che vada il mondo.
Non credo in un femminismo fatto di donne che odiano gli uomini, credo in un femminismo fatto di donne e di uomini. In un’uguaglianza che sappia mettere le proprie radici nella vita quotidiana. Iniziamo a fare caso a quelle piccole cose che avvengono nella vita di ognuno di noi e che ci mettono di fronte, più di grandi discorsi e grandi teorizzazioni, alle disparità di genere. Iniziamo a non vergognarci di fare domande a chi agisce seguendo, forse anche involontariamente, retaggi culturali semplicemente privi di senso.
Non si può pensare di cambiare le grandi cose senza cominciare a cambiare le piccole cose, quelle su cui possiamo mettere mano direttamente. È una banalità, ma nemmeno troppo.
Avete mai chiesto mai chiesto al cameriere di un ristorante perché, alla fine di una cena, porta il conto a lui e non a voi? (Niente di male se un uomo vuole offrire una cena ad una donna o viceversa, ma perché deve essere così scontato? L’indipendenza economica delle donne dovrebbe essere un dato acquisito!). Avete mai chiesto ad un gruppo di uomini intenti a commentare il corpo di una donna come se fosse carne da macello perché lo facessero? O ad un uomo che si intrattiene con molte donne perché giudichi una donna che fa altrettanto una poco di buono? Provate anche a chiedere a quelli che asseriscono che alcuni ruoli lavorativi di rilievo non siano adatti alle donne quali siano le ragioni tecniche e scientifiche che li spingono verso tali convinzioni. È banale, forse estremamente banale ma si tratta di circostanze in cui tutti noi ci siamo ritrovati nella vita e sopra alle quali, probabilmente, siamo passati senza nemmeno fare troppo caso.
In un’epoca in cui il dialogo si riduce sempre più a qualche stringato slogan, spesso urlato con la bava alla bocca, portato via alla velocità della luce dallo slogan successivo, forse, questa Giornata dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne ha la possibilità di assumere un valore diverso, di diventare un progetto di lunga gittata se ci fermiamo a riconsiderare la possibilità di cambiamento che ognuno di noi può rappresentare in questo senso. Se non chiediamo solo a chi sta in alto di arginare un fenomeno dilagante come quello dei femminicidi ( e uso la parola femminici a ragione, perché femminicidio non indica il sesso della vittima ma le ragioni per cui è diventata vittima) ma iniziamo a cambiare il nostro approccio alla questione di genere. Se da oggi ognuno di noi iniziasse la sua piccola battaglia contro tutti quegli insegnamenti e quei fardelli culturali che danneggiano donne e uomini. Perché prima di arrivare alle fronde si parte sempre dalle radici. Rieduchiamoci ed educhiamo i nostri figli e le nostre figlie per un futuro diverso, un futuro in cui a prevalere sia solo la nostra umanità. Noi siamo le radici, nostra la possibilità di costruire un futuro diverso.
Di Martina Annibaldi

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