ISTAT rapporto annuale 2023, chi nasce povero resta povero

di Stefania Lastoria

La 31esima edizione del Rapporto annuale dell’Istat, presentata il 7 luglio a Roma, ci racconta una situazione che raffigura la realtà come una fotografia scattata tra luci ed ombre.

Terminato lo stato di emergenza pandemica si assiste al rincaro dei prezzi delle energie e delle materie prime che hanno inevitabilmente alzato i costi di produzione delle imprese e di conseguenza i prezzi al consumo per le famiglie.

Pur assistendo ad una ripresa del Pil, con una media all’anno del 3,7%, c’è da evidenziare come nel 2022 quasi un giovane su 2 mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo, territorio.

I livelli di deprivazione appaiono più alti nella fascia di età 25-34 anni, la più vulnerabile, costituita da coloro che entrano nella fase adulta della vita e che si trovano ad affrontare tappe cruciali quali l’ingresso nel mercato del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, l’inizio di una vita autonoma, la formazione di una unione, la scelta di diventare i genitori.

Si può quindi asserire che la povertà si eredita?

Un fattore particolarmente preoccupante tra quelli evidenziati dall’Istituto nazionale di statistica è la trasmissione intergenerazionale della povertà, più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: in Italia quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà, proviene da famiglie che già versavano in condizioni finanziarie critiche. Alcune delle voci di spesa pubblica rivolte a bambini e ragazzi sono poi più basse rispetto a quelle dei paesi europei. La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil mostra il minore impegno del nostro paese rispetto alle maggiori economie dell’Ue27 (4,1% del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8%). Inoltre, l’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua, pari all’1,2% a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania.

Nella classe di età 30-34 anni, per la quale si possono considerare conclusi anche i percorsi di studi post-laurea, il 12,1% delle persone dichiara di non aver mai lavorato. Ovviamente si tratta di un’incidenza che varia molto per genere, territorio e soprattutto livello di istruzione. Un dato interessante è che l’effetto positivo del titolo di studio si rileva soprattutto tra le donne (non ha mai lavorato il 7,5% delle 30-34enni laureate mentre il dato è molto più ridotto tra gli uomini).

La mancanza di esperienza di lavoro rende difficile un successivo inserimento, con il rischio di rimanere esclusi o di dover accettare lavori meno qualificati. L’istruzione come spesso si è detto, ha un ruolo particolarmente importante nel favorire l’occupazione femminile.

D’altra parte tuttavia, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto legata ai carichi familiari, alla disponibilità di servizi per l’infanzia e la cura dei minori e dei membri della famiglia più fragili (persone disabili, persone non autosufficienti, anziani), oltre che ai modelli culturali.

Abbiamo poi la realtà del divario a sfavore delle madri rispetto alle donne senza figli, divario che si riduce sensibilmente per le donne con un più elevato titolo di studio.

Va in ogni caso sottolineato come tra i giovani che non studiano e non lavorano le più colpite siano le ragazze rispetto ai coetanei maschi in una fascia d’età tra i 25 e 29 anni.

Il Professor Francesco Maria Chelli, che ha l’incarico di Presidente facente funzioni dell’ISTAT, non si è limitato a dire che molte disuguaglianze a livello economico, sociale e territoriale si sono purtroppo consolidate o addirittura aggravate favorendo nuove forme di povertà, ha anche esplicitamente espresso una preoccupazione secondo la quale il nostro non è un paese per giovani e donne, figure tra le più discriminate in ogni ambito della vita sociale a cominciare dal lavoro.

 

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