Costretti a non morire di freddo
“Per riscaldarsi le dita congelate, prese un fiammifero dalla scatola e crac! Lo strofinò contro il muro. Si accese una fiamma calda e brillante. Si accese una luce bizzarra, alla bambina sembrò di vedere una stufa di rame luccicante nella quale bruciavano alcuni ceppi…
…Al mattino i primi passanti scoprirono il corpicino senza vita della bambina. Pensarono che la piccola avesse voluto riscaldarsi con la debole fiamma dei fiammiferi le cui scatole erano per terra.”
Hans Christian Andersen, La piccola fiammiferaia.
Tanto tuonò che piovve. Erano giorni e giorni che i meteorologi, come maghi moderni, presagivano una corrente di gelo straordinario, colpo di coda di un inverno tutto sommato mite. E alla fine l’aria ghiacciata è arrivata. Nel Regno Unito l’hanno battezzata “La bestia dell’Est”, nei Paesi Bassi “L’orso siberiano”, in Svezia “Cannone sparaneve”, in Francia “Il Mosca-Parigi”, “Burian” in Italia. Il grande freddo attraversa l’Europa cambiando nome come un criminale ricercato dalla polizia, capace di lasciarsi dietro le spalle anche vittime innocenti. Chi paga le spese di quest’ondata di freddo è la parte più povera della popolazione. L’Europa conta 350 milioni di abitanti, 50 milioni dei quali sono indigenti. I più esposti alla morsa del gelo sono i poveri che vivono in strada. Gli homeless, i senza casa, in gran parte sono uomini, con un’età media di 45 anni, abitano i marciapiedi, i portoni, le strade in media da più di due anni e mezzo. Più si allunga il numero dei giorni che passano in strada, più è difficile attivare per loro i processi di inclusione sociale; con il passare del tempo la situazione si cronicizza e i percorsi di accompagnamento fuori dall’estrema povertà sono più difficili. Per non parlare delle donne, quelle più anziane condannate a problemi di salute e quelle più giovani che hanno maggiori problemi di sicurezza, rischiano di subire violenza e anche, purtroppo, la prostituzione.
Nessuno sceglie di stare in strada. Dietro la condizione dei senza dimora ci sono storie di vite spezzate, di troppo vino, di troppa droga, di soldi svaniti o ricchezze mai avute. Le loro storie, dimenticate ai margini della normalità, tornano a galla col freddo.
In queste notti sotto lo zero per gli homeless si sono aperti ricoveri, palestre, persino i portoni delle chiese, ma non tutti accettano un riparo. Molti senzatetto rifiutano un posto coperto per non perdere il cane da cui non si separano mai o per paura di essere derubati di quel poco che hanno o anche solo perché temono la promiscuità. Restano ostinatamente all’addiaccio, come la piccola fiammiferaia della favola, armata soltanto di una scatola di zolfanelli da accendere al buio per illuminare un sogno. Accorgersi dei senza tetto, vedere la fiamma dei loro fiammiferi accendersi, è un fatto etico. Per il borgomastro di Etterbeek, un comune vicino Bruxelles, occuparsi di loro è una questione di salute pubblica. Vincent De Wolf, così si chiama il borgomastro, ha deciso di arrestare i senza tetto che non vogliono mettersi a coperto, ricordando a tutti di essere obbligato per legge a garantire la sicurezza dei suoi concittadini, anche quella degli ultimi, degli ostinati, degli irriducibili. Si sarà stancato di vederli morire di freddo per prendere una decisione così radicale. Dalle 8 di sera alle 7 del mattino, volenti o nolenti, i senzatetto trovati per strada dovranno seguire i poliziotti (che hanno l’obbligo di portarli -anche con la forza- in una sala riscaldata). Al mattino dovranno marcare visita. Se saranno trovati in buone condizioni potranno tornare per strada, in caso contrario resteranno al caldo fino al giorno successivo. Il provvedimento del borgomastro sarà in vigore fino all’8 di marzo, poi si vedrà che freddo farà. La privazione della libertà per qualche giorno in cambio della vita, un servizio di bassa soglia, un’accoglienza basata sui numeri, in attesa di servizi più mirati che accolgano le differenze e costruiscano relazioni di fiducia. Abbiamo bisogno di favole che finiscano bene, con buona pace di H. C. Andersen.
di Daniela Baroncini