25 aprile 2018: ancora liberi…

Affinché la memoria collettiva non perda il significato di questa data     

Anche se molti non lo ricordano, il 25 Aprileè una data importante nella storia d’Italia, non solo perché simboleggia la resistenza politica e militare dei nostri partigiani, contro i nazifascisti, ma anche perché in quel giorno il popolo, la gente comune, ha dovuto scegliere da che parte stare, se con gli occupanti o con coloro che “presero e partirono” per liberare il paese. L’insurrezione e lo sciopero generale proclamati quel giorno dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, segnarono il momento di frattura dal ventennio fascista e la nascita di una nuova coscienza nazionale. Purtroppo, non sempre gli studenti che si avviano all’esame di maturità hanno il tempo per apprendere come si dovrebbe, gli avvenimenti relativi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. A questa mancanza, difficilmente poi ovvieranno per conto proprio, una volta esaurito il faticoso confronto col “grande esame”. Eppure, quanto accadde allora, divenne il seme della nostra democrazia, della Repubblica Italiana. In tutti questi anni, con tutte le contraddizioni e i lati oscuri che l’hanno contraddistinta, la storia del nostro stato democratico ha visto spesso elezioni, in cui il voto ha subito delle nefaste influenze, ma che è stato sempre e comunque abbastanza libero, da rappresentare piuttosto fedelmente lo specchio della società italiana.

Ad ascoltare oggi le parole, i programmi degli acclamati attuali leaders politici, verrebbe da chiedersi se tutti coloro che presero le armi e combatterono come partigiani, o che costituirono clandestinamente i vietati partiti politici, vedendo oggi il nostro paese, agirebbero ugualmente a sprezzo del pericolo, per fare quello che hanno fatto. Ma, poiché loro vissero conoscendo direttamente il giogo della dittatura, credo che non ci sia dubbio che scenderebbero comunque dai monti, con le armi in mano, per dare alle generazioni che li avrebbero seguiti, il dono più grande, quello della Democrazia. Però, dato che la caratteristica principale del “potere al popolo” è la libertà, cioè “poter fare” senza limitazioni, questa implica anche il votare i propri candidati, pur sbagliando. E di errori in cabina elettorale, dal ’48 ad oggi, probabilmente nel nostro paese ne sono stati fatti tanti, quando poi non siano stati il frutto di prevaricazioni cui lo Stato stesso non ha saputo fare argine, come il voto controllato dalle mafie, come quello clientelare, come quello influenzato dalla religione, dal terrorismo e dalle stragi, come quello figlio della disinformazione…

“E la nave va”, potremmo dire della nostra democrazia, accettando il suo percorso ben poco logico e ben poco lineare, come conseguenza di questa libertà di sbagliare, cedendo alle pressioni dei parroci durante omelie ben poco cristiane, come pure soggiacendo alla paura di bombe che esplodevano in mezzo a cittadini pacifici. Oggi, che l’ultima tornata elettorale mostra il limite più assurdo della democrazia, cioè quello in cui non si giunga a nessun accordo a causa di veti incrociati, il ricordare il 25 Aprile come giorno della nostra liberazione, ha ancora più senso.

Più di settant’anni fa il paese occupato si fermò ed in tanti presero le armi, attaccarono i presidi tedeschi e fascisti, intimando quell’ “arrendersi o perire” usato da Pertini nel proclamare la sollevazione contro il nemico. Non fu solo un atto simbolico, ché in quei giorni morirono in tanti, ma questa data va ricordata al di là del mero valore storico: da quel momento di presa di coscienza collettiva è nata un’Italia diversa, più consapevole e più libera. E se siamo ancora liberi di sbagliare, lo dobbiamo ai morti di quei giorni, al proclama e all’insurrezione del 25 Aprile 1945. Sarebbe bene ricordarlo e tramandarlo alle nuove generazioni, che non ne capiscono il significato, che magari inneggiano a Mussolini “perché si faceva rispettare”, senza comprendere il significato di una dittatura e senza ricordare i disastri, la distruzione ed i morti, che quella fascista portarono al paese.

di Mario Guido Faloci