Nigeria, tra violenza e speranza

Il 23 febbraio scorso in Nigeria si sono tenute le seste elezioni generali dal 1999, anno in cui i militari lasciarono ufficialmente il potere per un ritorno ad un governo civile. Il voto, inizialmente schedulato per il 16 febbraio, è stato posticipato con una decisione improvvisa proprio a poche ore dall’inizio dell’apertura dei seggi. La decisione all’ultimo momento ha generato non pochi disagi, soprattutto a coloro che, per votare, hanno dovuto affrontare lunghi viaggi. Come si temeva, le elezioni sono state accompagnate da numerosi episodi di violenza. Solo nell giorno delle elezioni sono morte almeno 27 persone, secondo alcune Ong. Sono state segnalate diverse esplosioni nel nord-est del paese, zona in cui è forte la presenza di Boko Haram.

La Nigeria è lo stato più popoloso e con l’economia più grande dell’Africa e, sebbene sia un paese con un’età media estremamente bassa, a contendersi il ruolo di presidente saranno due settantenni. Muhammadu Buhari, 73enne presidente uscente, è dato in vantaggio sul principale sfidante Atiku Abubakar. Il secondo, uno degli uomini più ricchi e in passato vicepresidente nigeriano, negli scorsi anni è stato accostato a casi di corruzione. Nemmeno il presidente Buhari, già in passato a capo di un governo militare, gode di una grande popolarità. Deve difendersi dalle critiche di debolezza sui punti cruciali del suo mandato, la sicurezza e la corruzione. Dopo quattro anni di governo, lascia una Nigeria ancora dilaniata dai problemi che aveva trovato. Un paese che è specchio del mondo e dei suoi problemi. Le difficoltà economiche lo rendono uno degli stati con maggiori tassi di emigrazione al mondo. Da qui partono molti dei migranti che arrivano sulle coste europee. In realtà, l’Europa non è che una delle mete dei flussi, che nella maggior parte dei casi sono interni al continente africano. Per esempio, le recenti ondate migratorie sono la causa di crescenti episodi di discriminazione nei confronti dei nigeriani nel vicino Ghana. La vicenda ha, in realtà, radici più lontane. Nel 1983 più di un milione di stranieri, per la maggior parte cittadini del Ghana, furono espulsi dalla Nigeria con l’accusa di togliere lavoro ai locali.

Anche dal punto di vista della sicurezza il presidente Buhari non può vantare troppi successi. Nonostante le continue dichiarazioni di vittoria, il gruppo terroristico di matrice islamica Boko Haram ha recentemente riguadagnato forza. Anche dalle stesse forze armate sono arrivate critiche sullo scarso livello di equipaggiamento dell’esercito, con le accuse al governo di sperperare i fondi. I soldati faticano a mantenere il controllo del nord-est del paese, dove subiscono continui attacchi. Anche nella zona centrale, la cosiddetta middle-belt, la presa del governo è debole. Nella regione è in atto da anni uno scontro per la sopravvivenza tra allevatori e contadini. Con il cambiamento climatico causa di siccità, le terre aride si espandono velocemente. I terreni fertili rimasti diventano motivo di violenti scontri tra i più poveri. Recentemente, Amnesty International ha denunciato i fallimenti del governo nel porre un freno agli scontri. Il rapporto pubblicato denuncia atroci violenze che spesso si trasformano in odio etnico e religioso.

Le basse percentuali di affluenza segnalano la crescente disaffezione dei nigeriani. Sono in pochi a credere che queste elezioni risolveranno i problemi profondi di un paese che rimane terra di contraddizioni. Lo stato con il Pil più elevato in Africa e, allo stesso tempo, quello che nel 2018 ha superato l’India come nazione con maggior numero di abitanti sotto la soglia di povertà. Una terra di enormi ricchezze- basti pensare che il petrolio da solo costituisce il 9% della ricchezza totale- depredate da corruzione e ingerenze estere, dove gli ultimi sono costretti ad ammazzarsi per la terra e per il cibo.

di Pierfrancesco Zinilli

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