In Brunei è legge la lapidazione degli omosessuali.

Nel piccolo Stato islamico dell’isola del Borneo, dal 3 aprile è stata introdotta la pena capitale come parte dell’attuazione, fortemente criticata, di un nuovo codice penale basato sulla sharia.
La popolazione del regno del sud-est asiatico sarà dunque soggetta a una nuova serie di leggi draconiane, che impongono severe pene corporali come la lapidazione fino alla morte per l’adulterio e i rapporti omosessuali fra uomini, i rapporti lesbici verranno invece puniti con un massimo di 40 frustate e dieci anni di carcere, la fustigazione per chi beve alcool, l’amputazione degli arti in caso di furto. Il nuovo codice si applica a tutti i musulmani che abbiano raggiunto la pubertà, anche se alcune misure coinvolgono anche i non musulmani. Reati come lo stupro, l’adulterio, la sodomia, la blasfemia o l’insulto al profeta Maometto avranno ora come massima pena la condanna a morte. Sono queste le controverse misure entrate in vigore nel piccolo ma ricchissimo sultanato del Brunei. Nei giorni scorsi è stata anche lanciata una campagna di boicottaggio contro gli alberghi di lusso posseduti in varie parti del mondo dal sultano del Brunei, Hassanal Bolkiah che è uno dei leader più ricchi del mondo con un patrimonio di circa 20 miliardi di dollari e che siede sul trono dal 1967.

Notizie, queste, che hanno appena scosso la comunità internazionale e di cui poi non si è parlato più. Come se la criminalizzazione per atti sessuali tra persone dello stesso sesso portata alle estreme conseguenze della pena capitale, fosse certamente una notizia raccapricciante, però applicata in un paese in cui “noi” non viviamo, in un luogo per molti difficile anche da collocare geograficamente, in uno di quei posti lontani che vogliamo distanziare ancor di più.

E si gira pagina, si scorrono altre notizie, una fugace attenzione ai titoli e si va avanti, perché il “nostro mondo” è qui. Ma anche del “nostro mondo” non è che ci interessi più tanto, i valori di un tempo sono stati ampiamente calpestati, siamo presi e persi dal nostro piccolo orticello che difendiamo con le unghie e con i denti. Il vicino di casa non esiste, se una persona per strada si trova in difficoltà andiamo avanti, non vogliamo noie o peggio ancora, sentirci coinvolti in situazioni che non vogliamo vedere, che non sappiamo affrontare e che non ci riguardano personalmente. E ciò che non ci tocca in prima persona, non è un problema nostro. Allora noi, noi che viviamo in questo fazzoletto del “nostro mondo”, che davanti ad un clochard che bivacca per strada ad intralciare il nostro cammino non facciamo altro che cambiare rotta, che se assistiamo ad una lite feroce non abbiamo neanche il coraggio di chiamare le forze dell’ordine, che inveiamo contro gli immigrati e li guardiamo dall’alto in basso con autentico disprezzo… Ecco “noi” che facciamo tutto questo in nome di un menefreghismo difficile da giustificare, mi chiedo se siamo migliori di coloro che vivono in un paese del sud-est asiatico in cui l’amore è considerato un reato e la pena di morte non ha mai avuto fine. Mi chiedo se “noi” ci possiamo definire migliori di chi quelle leggi atroci le applica, mi domando che differenza morale ci sia tra chi lancia pietre in una lapidazione “legalizzata” e chi si volta dall’altra parte, per non vedere, per non sapere, per non sentire in una forma di omertà che “uccide” solo in modo diverso.

di Stefania Lastoria

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