La fabbrica del dissenso

In attesa che la sinistra rinasca dalle proprie ceneri, la gente di strada, nella sua semplicità, ha trovato il tallone d’Achille di questo Governo, quindi di Salvini, e si sta organizzando al volo e con iniziative autonome e pianificate sui social, per esprimere quel dissenso che con tanta pervicacia il leader leghista cerca di silenziare. Ci si è messo un po’, in realtà, ma alla fine era tutto logico, lineare, lapalissiano e proprio per questo nessun leader di sinistra ci era arrivato.

Già in tempi non sospetti le personalità mediatiche di Salvini, gestite dal suo guru Luca Morisi, avevano la buona abitudine di tappare la bocca a chi criticava bloccandolo su Twitter o inibendogli di commentare su FB. Perché? Non si tratta di un mero atteggiamento fascista, né di banale fastidio. Quando qualcuno critica Salvini sulle sue pagine o lo sfotte, immagina il Capitano indispettito che impreca mentre clicca sul magico pulsantino “blocca Tizio”. Niente di più sbagliato. Non c’è Salvini dietro quel monitor a leggere i commenti e inalberarsi, c’è Morisi. E a Morisi non frega niente se dai dell’idiota al suo datore di lavoro, nel momento in cui ciò non danneggi il lavoro che Morisi stesso sta facendo. È quello il punto: non si tratta di un capriccio, ogni volta che blocca un utente Salvini (o chi per lui) lo fa perché sta subendo un danno d’immagine, piccolo quanto vuoi ma abbastanza significativo da fargli preferire di bloccare un commento che – positivo o negativo – rende più visibile il suo post piuttosto che lasciarlo dov’è ad alimentare tale visibilità. Salvini ha bisogno di costruire un’immagine di sé vincente, il dissenso mina alla base il consenso che ha costruito, perché –e probabilmente lo sa bene anche lui –  quel consenso è fittizio, si basa sui social, sull’immagine, sulle bufale sulle accise o i 500.000 immigrati. Quando Morisi e Salvini discutono se mettere un selfie con la salsiccia o uno con la mortadella, non stanno passando tempo, stanno attuando una strategia precisa e lo stanno facendo in un preciso luogo: la rete.

Ecco che tutto ora appare evidente. A Salvini non frega nulla se dei ragazzetti lo prendono per il sedere, facendosi un selfie e chiedendogli che fine abbiano fatto i 49 milioni della Lega o come mai adesso vada a fare comizi tra quella gente che prima definiva terroni, a Salvini frega che quei ragazzetti possano filmare la scena e diffonderla sui social e finire sui media. È l’occhio della telecamera quello che lo disturba, è abituato a essere spernacchiato ma non può tollerare che ciò avvenga pubblicamente.

Per questo motivo, abusando della sua carica, si prende il lusso di utilizzare la forza pubblica come un servizio di sorveglianza privata, dando ordini di ogni tipo a quegli agenti che sono prima di tutto pagati dalla gente e non da lui. Come ha fatto con la ragazza di Salerno, a cui i poliziotti dovevano sequestrare il cellulare, gesto che ha costretto il Capo della Polizia Gabrielli a una decisa presa di posizione, inducendolo ad avviare un’azione disciplinare contro quei due poliziotti e rilasciare dichiarazioni molto chiare: “Noi siamo la polizia di Stato, non una polizia privata al servizio di questo o quel ministro”.

O come è avvenuto a Brembate, dove i vigili del fuoco hanno rimosso uno striscione da un balcone che recitava “Non sei il benvenuto”, per pretestuosi motivi di ordine pubblico.

Il problema è che il buon Matteo non ha capito l’effetto boomerang che può avere sulla gente, il fatto di tappargli la bocca o lo ha capito ma non riesce più a sottrarsi a un meccanismo vizioso che potrebbe schiacciarlo. Ogni volta che sbotta perché la polizia non ha tacciato le voci che gli danno dello scemo o cantano Bella Ciao, o che ordina il sequestro di uno smartphone dopo aver fatto una faccia da idiota nell’esser stato preso in giro da un ragazzino, amplifica la voglia di dissenso in maniera virale e perniciosa (per lui). Per non parlare della leva esercitata sugli animi più esibizionisti, votati allo spirito di emulazione, cui questi gesti regalano un’insperata notorietà e visibilità, trasformandoli, in poche ore, in piccoli eroi che vedono schizzare i contatori delle condivisioni e dei like. Basta vedere cos’è accaduto agli account personali di chi ha fatto i selfie con Salvini prendendolo in giro o per primo ha diffuso i video in cui viene umiliato.

Risultato? Sui social si possono trovare tra i trend topic gli hashtag  #SalviniTogliAncheQuesti e #stressasalvini e a Milano si stanno organizzando quelle che qualcuno ha già chiamato le balconiadi,con cittadini che si preparano ad accogliere il Ministro a suon di striscioni di contestazione, sfidando vigili del fuoco e polizia a toglierli tutti, se ci riescono.

Dulcis in fundo, l’immagine social del Capitano ha subito un’ulteriore botta dallo stesso FB che ha chiuso 23 pagine italiane con 2.4 milioni di follower perché diffondevano fake news e parole d’odio. Riuscireste mai a indovinarlo? La metà erano a favore di Lega e M5S.