Natale ci riguarda
“Uscito da una messa in cui aveva sentito predicare gli atti di misericordia corporale, il piccolo Luigi Pirandello tornò a casa seminudo perché aveva rivestito del suo abito un bambino che aveva visto coperto di stracci. Ma, una volta a casa, egli venne aspramente rimproverato: e comprese, una volta per tutte, che nessuno prendeva sul serio il cristianesimo nel quale si veniva educati”. Ogni Natale mi viene in mente questa storia, scrive Tomaso Montanari su Volere la luna, perché se prendessimo sul serio l’incarnazione che festeggiamo, davvero nulla potrebbe rimanere come il giorno prima. E invece tutto è teatro, come il piccolo Pirandello precocemente capì. Ed è un teatro in cui, tutti noi, egoisticamente sediamo in platea, guardando lo spettacolo della disuguaglianza, della povertà, della violenza e dell’emarginazione, applaudendo e sorridendo sodisfatti.
Tomaso Montanari cita anche Dietrich Bonhoffer che nella terza domenica di avvento del 1933, era il 17 dicembre, tenne un sermone sul Magnificat nella chiesa evangelica di Londra, che curava, avendo dovuto lasciare temporaneamente la Germania nazista. In quel discorso troviamo il senso più rivoluzionario, inquietante, esplosivo di questo giorno (Natale) che abbiamo reso dolciastro, sedativo, conformista, impotente:
Dio ama ciò che è perduto, reietto, insignificante, ciò che è debole, spezzato. Quando gli uomini dicono “perduto” egli dice “trovato”, quando dicono “condannato” egli dice “salvato”, quando gli uomini dicono “no” egli dice “si”. Quando giungiamo nella nostra vita al punto di vergognarci davanti a noi stessi e a Dio, quando arriviamo a pensare che è Dio stesso a vergognarsi di noi, quando sentiamo Dio lontano come mai nella nostra vita, ebbene, proprio allora Dio ci è vicino come non mai; allora vuole irrompere nella nostra vita, allora ci fa percepire in modo tangibile il suo farsi vicino, così che possiamo comprendere il miracolo del suo amore, della sua prossimità, della sua grazia. Quando Dio sceglie Maria come suo strumento, quando Dio stesso decide di venire in questo mondo nella grotta di Betlemme, non si tratta di un episodio idilliaco occorso a una famiglia, ma è l’inizio di un rovesciamento totale, di un nuovo ordine di tutte le cose di questa terra. E se vogliamo prendere parte a questo evento dell’Avvento e del Natale, non possiamo semplicemente starcene lì a fare da spettatori, come fossimo a teatro, e rallegrarci di tante belle scenette, ma siamo trascinati con forza anche noi dentro questa azione, in questo mutamento di tutte le cose, siamo chiamati ad essere protagonisti anche noi su questo palcoscenico.
Non possiamo rimanere spettatori: dobbiamo salire sul palcoscenico. Bonhoffer lo fece: tornò a Berlino, si impegnò nella Chiesa confessante che, a differenza della Chiesa protestante ufficiale, lottava contro il nazismo…arrestato il 5 aprile del 1943 venne impiccato il 9 aprile del 1945. Le sue lettera sono la testimonianza più alta del pensiero Cristiano del novecento. In una lettera ai genitori del 17 dicembre del 1943 lèggiamo parole attuali per questo Natale 2020:
“Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questa casa celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato è più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome. Un prigioniero capisce meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini: che Dio si volge proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distogliersi; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annuncio. Credendo questo, sa di essere inserito nella comunità dei cristiani, che supera qualsiasi limite spaziale e temporale. E le mura della prigione perdono la loro importanza… sarà un Natale silenzioso, i bambini in futuro ci penseranno a lungo. Ma proprio per questo qualcuno si accorgerà per la prima volta di che cosa sia in realtà il Natale…”
Siamo provati, in questo Natale. Chiusi: se non in prigione, in molte solitudini. Senza poterci abbracciare. Pieni di angoscia per il futuro. Prigionieri di uno stato delle cose in cui ingiustizia si somma a ingiustizia.
Ma forse proprio per questo stavolta possiamo capire davvero il Natale. Possiamo renderci conto che non contempliamo una scenetta, ma siamo saliti, almeno per un po’, e nostro malgrado, sul palcoscenico.
Capiamo che il Natale ci riguarda. Che la carne che deve essere liberata è la nostra. Che le comunità a cui apparteniamo, non importa se cristiane o no, sono l’unica dimensione in cui le nostre solitudini acquistano senso.
Se capiamo questo, ci spogliamo per vestire gli ignudi, davvero, e “le mura della prigione perdono la loro importanza”. Se capiamo questo, potremo perfino accorgerci, per la prima volta, di cosa sia in realtà il Natale.
di Claudio Caldarelli e Eligio Scatolini