Verso il nulla o il tutto stretti in uno scompartimento ferroviario

Siamo sicuri che prendendo un treno sappiamo sempre dove stiamo andando, e perché ci stiamo andando? Il cinema ha quella capacità di immaginare situazioni così particolari, anzi, addirittura singolari, da non riguardarci per niente, eppure di farci ugualmente ritrovare dentro uno scompartimento ferroviario a viaggiare per giorni in mezzo al gelo e al disagio. E per rendere il caso ancora più singolare si precisa anche il numero della carrozza: Scompartimento n. 6. Entriamo nel film con questo titolo, e ci troviamo come una ragazza finlandese, Laura, in viaggio verso i confini settentrionali della Russia. La vicenda, però, inizia qualche scena prima di salire sul treno. Inizia a Mosca, dove Laura frequenta una comunità di intellettuali, felici della loro amicizia e frequentazione. La ragazza, in realtà, intreccia in quel gruppo di raffinati anche un legame particolare, cui tiene più di sé stessa. Non tanto dalla capitale russa in sé si sta allontanando il treno su cui sale, quanto da tale amore – che non riesce a trascinare con sé.

Puoi sceglierti i compagni di viaggio su un treno diretto in una località tanto remota? No, e questo, lo sappiamo, succede anche in molte occasioni della vita. Nello Scompartimento n. 6 c’è un solo viaggiatore. È un giovane uomo di nome Ljoha. Solo che è un po’ sopra le righe. Le chiede quasi subito – ossia dopo una mezza bottiglia di vodka – se sia venuta in Russia a “vendere la fica”. Su una ferrovia, però, solo i binari solo le vere righe: parallele e che non ti consentono di deviare. Quasi come un destino. Non a caso, ad esempio, in spagnolo ‘destinazione ferroviaria’ si dice proprio destino. Laura vorrebbe cambiare scompartimento, ma la tanto ruvida e tanto onesta capotreno, le dice che l’unico posto disponibile è quello assegnatole. La ragazza fa un giro nei vagoni della classe inferiore: la periferia ferroviaria, però, è più affollata e caotica dei quartiere popolari in una megalopoli.

Il viaggio è lungo, dura diversi giorni, il treno fa diverse soste, anche di molte ore. La ragazza continua a chiamare Mosca, ma niet. Sarà pur vero – come dice Dante – che l’amor move il sole e l’altre stelle, ma quello scelto da Laura rimane fisso come un bullone su una traversina del binario 1 nella stazione moscovita di Kazanskij. Così quel viaggio, quel treno, quello scompartimento diventano per lei veramente soltanto il suo destino. La stretta distanza tra i binari, tra le pareti di quel vagone esprimono pienamente il senso di essere ormai stretta là dentro, e l’impossibilità di saltare fuori dal treno in corsa. Partenza: Moskov, Destino: Murmansk. Ma che vi vanno a fare due passeggeri così diversi, se non addirittura opposti, in quello sperduto confine di gelo, smarriti essi stessi nella loro sbandata solitudine? Ljoha va a lavorare in una raffineria. Laura a vedere i petroglifi, sorta di graffiti disseminati sulla sponda petrosa del Lago Onega. È una zona dichiarata, proprio per questo, patrimonio dell’Unesco, ma inaccessibile quando lei fa fine corsa a Murmansk.

È questo il destino sferragliato, tessuto sui binari dal treno per migliaia di verste? Un confine del nulla? Lui inghiottito tra le tubature di una raffineria, lei inchiodata nel ghiaccio invincibile del Generale Inverno? Ma sono davvero quella raffineria e quei graffiti il destino dei due passeggeri all’amore e all’umanità sperduti? O il viaggio ha fatto riemergere una tessitura, un ricamo più profondo, nascosto, dimenticato delle loro esistenze e coscienze? Così che non tanto la meta del treno, quanto il suo moto, ossia l’andare in sé, li abbiano invece inaspettatamente condotti proprio ai confini del tutto?

di Riccardo Tavani

Tratto dall’omonimo romanzo di Rosa Liskom, 2011. Regia di Juho Kuosmanen; Gran Premio della Giuria, Festival di Cannes 2021; Film Candidato per la Finlandia ai Premi Oscar 2021.

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