Oylem Goylem: mondo sciocco
Oylem Goylem o per meglio dire “mondo sciocco” è l’autoironia umoristica in rapporto con la vita, più propriamente con la sopravvivenza degli ebrei dell’est Europa, ghettizzati, scacciati, esclusi e poi bruciati nei forni dei campi dì concentramento. L’atrocità dell’Olocausto raccontata con la lingua “Yiddish” un dialetto che contiene tutte gli accenti, le fonie e le declinazioni degli ebrei polacchi, ungheresi, russi, cecoslovacchi, con influenze latine e balcaniche. Ironia e atrocità, alleggerite dalla musica klemzer, senza nulla togliere alla drammaticità del racconto, per non dimenticare, per tenere viva la memoria.
Al teatro Vascello di Roma, Momi Ovadia rimette in scena Oylem Goylem, accompagnato da musicisti eccellenti, la sua Stage Orchestra che suona accompagnandolo nella danza del saltimbanco. L’ebreo errante senza più patria, ritrova se stesso nella autoironia della sua condizione portata all’estremo, come estrema era la condizione di vita e di povertà assoluta in cui vivevano, nei ghetti, gli ebrei erranti. La lingua Yiddish è l’elemento di congiunzioni di situazioni disperate, ma anche comiche, in cui tutto si mette in discussione, dove non ci sono certezze, lo Yiddish serve da collante per ritrovare un filo conduttore che riunisca un popolo in esilio perenne.
Il ritmo, la danza, la mimica, fanno di Momi un personaggio calato talmente nei suoi panni, da confondere il vero dal falso, o il falso dal vero. Tutto è reale nella immaginifica irrealtà che irrompe sulla scena rendendo il pubblico parte consapevole di un olocausto consumato nei secoli, fino ai nostri giorni. L’irreale che si trasforma, e trasporta con ironica sapienza, lo spettatore di fronte alla sua indifferenza per una memoria che ogni giorno viene rimossa e cancellata. Momi Ovadia è un umile super-eroe, antieroe di se stesso, capace di ballare una danza inesistente, inventata per l’occasione di dimostrare che nel mondo sciocco tutto è possibile perché tutto sopravvive al dolore e alla sofferenza ridendoci su, ridicolizzando luoghi comuni che dipingono l’ebreo errante legato all’oro e al guadagno mentre sta morendo, lui con il suo popolo.
Sonorità zingare, ritmate e sincopate da mani che cesellano le corde del violino e del contrabbasso, come le dita del clarinetto che riesce in continuo movimento sulla base del cymbalon, delicatamente ovattato così magistralmente da pulsare all’unisono con il cuore dei presenti. Un incrocio di stili, di umori, di armonie e di toni malinconici, anche nel l’esplosione delle ballate al ritmo dei piedi di Momi, protagonista umile di una umile intensa interpretazione che lo rende un monolite granitico della memoria della sua gente.
Claudio Caldarelli