Il Cenacolo di Lorenzino

“…proprio or ora ti cercavo desiderando di sapere di quella riunione di Agatone e Socrate e Alcibiade e degli altri che allora parteciparono a quella cena in comune, e dei discorsi sull’amore quali furono…” così Platone descrive nel Simposio, la cena in cui artisti, filosofi e non per ultimi amici, si riuniscono per discutere di filosofia, amore, arte e poesia, argomentando ognuno a suo modo. Nessuno possiede la verità, ma, tutti si esprimono contaminandosi e arricchendo il proprio “non sapere”.

Mercoledì sera, alle 20, ci siamo incontrati (Lorenzino, Fabrizio e Claudio) seduti al tavolo apparecchiato in fondo alla sala, per non essere disturbati e per non disturbare. Il luogo, scelto da Fabrizio, è l’agriturismo Rio Coverino, sulla consolare Flaminia, tra Civita Castellana e Gallese.

L’ospite d’onore, per questo Cenacolo e Lorenzino, amante di tutte le arti, insegnante, filosofo e principalmente maestro di vita. Ci sediamo, consapevoli del fatto che in fine, la verità è racchiusa dentro ognuno di noi. Ciascuno esprime il proprio sentire, liberamente, ma è Lorenzino il maestro da ascoltare, il nostro Socrate, qualunque cosa dica. Il suo pensiero affascina, avvolge, entra dentro e si sostituisce al sangue. La sua dialettica, fluida, intensa e entusiasmante. Inizia a scorrere dal cuore al cervello. Poi torna al cuore e ti riscalda, fino a scioglierti. Siamo quello che facciamo, stiamo dev’è il nostro corpo, il resto sono franciottole. Un pensiero strano e perverso, talmente strano da essere ironicamente vero. Talmente vero che preferiamo gli assenti ai presenti. E ci fa notare quanti, seduti ai tavoli, invece di colloquiare, guardano il telefonino. Parlano con il cellulare. Inviano messaggi. Sono assenti ai presenti e sono assenti a se stessi. Anche il loro amore è assente, in quel tavolo, dove invece di guardarsi negli occhi e tenersi le mani, guardano il cellulare. Una società contraria ai propri bisogni e al proprio amore.

Come tutto ciò che ci gira intorno, gira al contrario, se ci fosse un verso giusto del girare, si girerebbe comunque al contrario, per respingere la gioia ed abbracciare la sofferenza. Perché è un investimento girare, soffrendo, al contrario. Eppure sarebbe così semplice girare con le opportunità della vita. La vita che ci presenta l’amore è ci fa amare Socrate e Dante. Cogliere questa opportunità da valore e senso alla vita, da amore al nostro amore, anche se non è un investimento. Essere se stessi è essere l’oceano dell’amore. L’amore che si prova, anche se non ricambiato, è un dono, è rispetto per la vita e per la Grande Madre che ci ha partorito. Esserne consapevoli per lasciare spazio alla felicità, significa lasciare spazio a se stesso e agli altri. Significa essere presente con i presenti. Significa abbandonare senza remore l’idea che qualcosa di grandioso debba accadere. E accade qualcosa di grandioso, tutti i giorni, perché ogni giorno è una rinasciate.

Ogni giorno è un giorno d’amore sentito, provato, donato. Riconoscere semplicemente questa ovvietà: qualsiasi desiderio è stupido. Quando non esiste alcun desiderio, il creato ti spalanca le porte, di avvolge, ti fa sentire “sorello” e “fratella” del creato, della intera umanità. Il Paradiso è dentro di te, ed è adesso, è qui. E non devi fare nulla per averlo. Eppure la società dei consumi moltiplica i cesti, non i pesci. Moltiplica i contenitori per accumulare, non per distribuire. Il potere misura la sua forza con le armi, con i carri armati, non con il “sapere” l’arte, l’amore, la bellezza. Un potere sempre più distruttivo che per esistere inventa il “metaverso” il “bit-coin”, la realtà virtuale che sempre di più ci allontana da noi stessi, dalla ricerca della verità, e ci lascia in pasto alla menzogna per giustificare le sue bugie. Così si inventa il ministro per la “transizione ecologica” che altri non è che un dottor Stranamore, cioè, il ministro della transizione atomica-nucleare, che ci fa credere che la Tav, (treno alta velocità) sia utile.

Utile per arrivare mezz’ora prima, distruggendo intere Valli e perforando montagne. Lorenzino ci guarda con benevolenza, mente lentamente mastica, poi posa la forchetta e ci dice: per arrivare mezz’ora prima è sufficiente partire mezz’ora prima. Una soluzione “green” talmente “green” che non verrà presa in considerazione, perché si devono distruggere la montagna e le valli. È proprio vero, servirebbe un Re filosofo, oppure un filosofo Re. Ma questo non sarà mai possibile: il pensiero dell’uno esclude l’altro. Il maestro (Lorenzino) ci delizia con un ultima citazione: il Re filosofo, idea secondo la quale la migliore forma di governo è quella in cui governano i filosofi. L’ideale di un filosofo Re, lo dice Platone, riprendendo Socrate, come parte della visione di una città giusta. Nella Repubblica di Platone, il protagonista, Socrate, propone un progetto di città ideale come modello per ordinare l’anima individuale. Una città così giusta da richiedere, nel libro V, oltre a Re filosofi, anche “regime filosofe”. Un pensiero dirompente in quella epoca, talmente dirompente da essere deriso. Ma come dicevamo all’inizio, è necessario capovolgere il modo di pensare per capire cosa è giusto. Nella Repubblica, Platone, citando Socrate, capovolge ciò che dicevano ad Atene, cioè che i filosofi non volevano governare. Socrate sostiene che è proprio il fatto che i filosofi sono le ultime persone che vorrebbero governare, che li qualifica a farlo. Ci si può fidare solo di coloro che non desiderano il potere politico. Pertanto, prosegue il nostro Socrate (Lorenzino) la chiave del concetto di “Re filosofo” è che il filosofo è l’unica persona di cui ci si può fidare per governare bene. I filosofi sono sia moralmente che intellettualmente adatti a governare. Per questo non potranno mai governare.

Chiudiamo con una crostata di visciole e un vin santo, tanto che nel pronunciarlo, Lorenzino ci fa notare che Cristo non ha lasciato scritto niente, ciò che sappiamo lo hanno raccontato gli apostoli, allo stesso modo di Socrate tramandato da Platone. I pensatori, i filosofi, sono rivoluzionari che non puzzano di polvere da sparo, non possiedono armi, sono ignorati, fino a quando il potere li scopre e li condanna a morte. La filosofia educa l’anima alla libertà, il potere educa alla guerra e alla morte. Con il suo fare interrogante, Socrate, spingeva a riflettere sulle credenze tradizionali, mettendo in discussione le verità prestabilite: un pericolo per la stabilità politica e l’ordine pubblico. Per questo fu condannato a morte. Un po’ come a noi, che ci infliggono la condanna emarginandoci, isolandoci, con false accuse di immoralità. Ma, (e qui Lorenzino a gli occhi lucidi di commozione) Socrate ci mostra come sia vero filosofo solo colui che, come un “tafano”, sottopone agli altri e a se stesso una serie di domande martellanti. Occorre essere fastidiosi come i “tafani” per evitare l’incantesimo delle apparenze, spesso comodo per chi ha paura di attraversare “il mare della vita” da solo e da donna/uomo libero.

di Claudio Caldarelli e Fabrizio Lilli

Print Friendly, PDF & Email