Nessuno di noi è uno solo

Nel disequilibrio costante della vita, nessuno di noi è uno solo. Noi siamo il “genoma” dei nostri quattromila antenati, anzi dei nostri ottomila antenati. Nessuno di noi è uno solo perché siamo tutte le nonne e i nonni che si sono susseguiti negli ultimi duecentomila anni.

La nostra storia è la geografia. La geografia del mondo su cui hanno camminato una parte dei nostri nonni e nonne dai tempi di Adamo. Ognuno di loro ci ha donano una parte di sé. Una parte importante, forse la più importante. La nostra evoluzione è il frutto “proibito” di quelle mutazioni fino ai nostri giorni.

Marco Paolini, con Antenati, al Vascello di Roma, chiama in causa i testimoni del passato per capire il presente e azzardare un futuro migliore. Così convoca i suoi avi per una riunione di famiglia, per condividere con loro le preoccupazioni sulla drammatica situazione del pianeta. Guerre, inquinamento, avidità, cattiveria, povertà, razzismo, violenza. Paolini, nel suo sogno visionario, su un palco scarno, minimalista, privo di scenografia, in cui l’assenza della scenografia è la scenografia stessa, poggiata su uno sgabello di legno a tre gambe e un leggio, porta in scena un incontro fuori dal comune. Ci conduce dentro il genoma che contiene le tracce della nostra evoluzione, con le difficoltà di comunicare ed essere compresi. La differenza di linguaggio e l’incapacità di utilizzare le tecnologie dei “millenials” impediscono di avere un terreno comune su cui riflettere.

Ma ognuno che si incontra è parte di noi, parte della nostra evoluzione, da qualsiasi parte provenga, dal colore della sua pelle o dal linguaggio che usa, è uno noi. Ha una sua identità che è la nostra. Lontano o vicino nel tempo, siamo costole di un Adamo inesistente, talmente inesistente da essere parte integrante del nostro discorso evolutivo. Nessuno di noi è solo, ma tutti noi possiamo essere un grande immenso spirito corale che innesta “fratellanza genomica” e sorellanza etica.

Paolini scardina con ironia il totem di “2001 odissea nello spazio” di Kubrik per sostituirlo con un monolitico frigorifero Ignis, raccolto nella discarica di Venezia e assunto come divinità evocativa anche per il suo nome. Ignis dal latino significa “fuoco”. Un nome appropriato per un frigorifero. Un ossimoro che facilita il dialogo inter-generazionale, per ricondurlo alla logica semplice dei nonni che non comprendono il significato di un simile oggetto.

Antenati è un viaggio dentro se stessi, senza tralasciare il sentire che ci accomuna con il passato. La ricostruzione sapiente della evoluzione sia fisica che culturale attraverso un percorso evocativo complesso in cui le catastrofi ambientali, il cambiamento climatico, la siccità, la deriva dei continenti, le placche e le faglie tettoniche, indirizzano le metamorfosi così come l’intelligenza e l’istinto determinano le scelte individuali di ognuno.

Le contraddizioni delle emozioni che si oppongono, l’impulso primordiale della amigdala e il ragionamento della corteccia frontale, nulla tolgono nulla a quella atavica intuizione del pericolo che ci ha salvato dalla estinzione.

I nostri avi erano nomadi. Hanno continuato a spostarsi in vere e proprie migrazioni. Noi siamo i figli di quelle migrazioni, con buona pace di chi rivendica la superiorità degli “autoctoni”. Le nostre radici sono le radici dell’Africa (lo conferma la scienza evolutiva) di cui ci siamo irradiati fino a raggiungere terre remote e lontane.

Antenati ci racconta di come la parte più bella della nostra esistenza, viene spesso dimentica o non riconosciuta tale, ma sono loro, gli antenati, la chiave del mistero della sopravvivenza e di un nuovo modo di pensare la vita per tornare a camminare sulla Terra come fosse la Terra dei nostri avi, dove nessuno di noi è solo.

 

Claudio Caldarelli

 

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