I Focolari: vicino ai nostri figli Lgbt
Quando un giovane prende coscienza del proprio orientamento omosessuale o si interroga sulla propria identità di genere “non conforme”, a chi può rivolgersi? E due genitori, di fronte a un figlio, a una figlia, che apre loro il cuore sull’intima realtà che sta vivendo, a chi possono chiedere aiuto per capire e per accompagnarli meglio? Da qui l’attenzione delle realtà associative per mettere a punto percorsi di accoglienza e di condivisione di fronte a una realtà su cui è vietato chiudere gli occhi e che va affrontata con realismo e carità, secondo le indicazioni più volte espresse da papa Francesco. «Come Famiglie Nuove dei Focolari – raccontano Maria e Gianni Salerno, responsabili centrali – abbiamo da tempo messo a fuoco l’esigenza di confrontarci con questa realtà. Poi nel marzo 2019, dopo essere venuti in contatto con alcune famiglie dell’Opera di vari Paesi nel mondo con figli lgbt e avendo conosciuto la loro esperienza, ci siamo sentiti interpellati a condividere ed approfondire in modo più mirato la loro situazione».
È nato così un Gruppo, “Nessuno solo”, formato da coppie provenienti da Brasile, Portogallo, Belgio, Germania, Italia unitamente a due coppie della Segreteria centrale di Famiglie Nuove. Fin dall’inizio è stato presente, in qualità di esperto, anche Roberto Almada, focolarino argentino, sacerdote e medico psichiatra, con esperienza nell’accompagnamento di persone omosessuali. L’obiettivo non è quello di trovare una ricetta buona per tutte le situazioni o di esprimere valutazioni giudicanti sui diversi casi. Le esperienze vissute sono varie, anche per via delle radici culturali diverse in una realtà come Famiglie Nuove che ha un respiro internazionale.
«Al nostro interno – riprendono i coniugi Salerno – si trovano famiglie a punti diversi del cammino: chi ha accolto pienamente questa realtà, chi vive ancora nel travaglio, chi ha figli adolescenti, chi figli già adulti». Un problema?
«No, tutto questo rappresenta un valore aggiunto perché la varietà consente di condividere ciò che ciascuno dona in modo che diventi patrimonio di tutti». Il Gruppo si è rivelato un punto di riferimento importante, un’opportunità per le famiglie che vivono questa situazione di non sentirsi sole, grazie al sostegno reciproco.
Incontro dopo incontro, sono emerse le opportunità derivanti dal confronto e dalla condivisione, gli spazi di comunione, le possibili risposte per andare incontro a chi vive in famiglia la presenza di un figlio o di una figlia lgbt, la bellezza dello scambio di esperienze, i comportamenti virtuosi o gli errori da evitare, le modalità non sempre agevoli e immediate per applicare l’ideale dell’unità alle situazioni concrete vissute. Proprio il confronto con la complessità delle varie situazioni ha convinto della necessità di una formazione specifica. Accanto alla lettura di documenti e testi, c’è stato spazio per interventi di teologi, moralisti, operatori pastorali. «Sentiamo l’importanza di essere vicini alle famiglie e ai loro figli e – proseguono Maria e Gianni Salerno – stiamo cercando di individuare come creare spazi di accoglienza e condivisione, perché tutti possano scoprire e sperimentare l’amore di Dio. Il riferimento rimane l’obiettivo espresso al n. 250 di Amoris laetitia perché tutti, indipendentemente dal loro orientamento sessuale possano “realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”.
Nell’ottobre scorso, al Centro Mariapoli di Castelgandolfo (Roma), si è svolto un laboratorio a cui hanno preso parte, oltre alle famiglie del gruppo e a qualche altra coppia di genitori entrata in contatto con noi, anche alcuni membri responsabili di varie realtà dell’Opera di Maria e alcuni giovani lgbt legati al Movimento, che sono stati contenti di poter portare la loro testimonianza. Nel corso del laboratorio c’è stato spazio anche per approfondimenti su alcuni aspetti dell’omosessualità dal punto di vista antropologico e pastorale. «Abbiamo ancora tante domande senza risposta – concludono i coniugi Salerno ma sicuramente abbiamo compreso ancora di più che siamo tutti figli di un Dio che ci ama immensamente così come siamo e ha a cuore la felicità dei nostri figli e la nostra».
Certo, una volta fatto questo percorso di accettazione di se stessi e da parte dei propri genitori, all’interno di questi gruppi che ascoltano, consigliano e proteggono, dopo questi incontri che insegnano ad elaborare il tutto, occorrerà affrontare da soli il mondo che ci circonda che sappiamo non essere “propenso” all’accettazione bensì fin troppo spesso ostile a tutto ciò che viene vissuto come “diverso”. I casi di aggressioni e bullismo nelle scuole o per strada non sono una novità per nessuno. Tali percorsi dunque devono servire anche come strada per cambiare cultura, per aprire la mente, per non riversare la propria rabbia interiore sui più deboli, su chi sta lottando con se stesso per arrivare ad una nuova identità, che deve essere vissuta come “giusta” non solo per se stessi ma per tutte le persone con cui entreranno in contatto, con chi sfiora la nostra vita, con chi fa parte del nostro mondo.
Perché i nostri figli si sentiranno accettati solo quando anche la società sarà pronta a farlo.
E sembra tutto così ovvio e scontato che ci si sente quasi in imbarazzo nel rimarcarlo, nell’evidenziarlo, nel sottolinearlo affinché la gente possa comprendere, cambiare prospettiva, arricchire la propria mente, vedere con nuovi occhi, sentire con anime rinnovate.
E oggi sembra tutto così distante ma certamente non impossibile, occorre essere fiduciosi nel cambiamento di una società in continua evoluzione in cui tutti siamo vicini e fratelli.
Stefania Lastoria