“Basta che mi salvo io” (3)

Nelle prime due parti di questa “piccola descrizione” degli italici vizi che hanno guidato e permeato il dibattito relativo alla remunerabilità o meno di coloro che sono addetti alla cura della polis, insomma della politica, abbiamo accennato a come fosse considerato un onore e non una professione poter servire il proprio Paese. L’art. 50 dello Statuto Albertino così recitava: “Le funzioni di senatore e di deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità” e quando nel 1861 il Senatore Roncalli propose il rimborso del biglietto del treno per i senatori residenti lontano da Torino gli fu respinta la proposta con questa motivazione: “Servire il Paese è un privilegio da vivere come un dovere.” Abbiamo anche visto come, appena qualche anno più tardi, quel concetto di servizio da rendere al Paese si tramutasse in qualcosa di molto diverso e come l’On. Pigafetta potesse spiegarci, con incredibile e crudele cinismo, che bisognava corrispondere una indennità ai parlamentari, finalizzata a consentire “di rimanere onesti a molti” di loro.  Non certo a tutti!Alcuni, allora come in tempi recenti, hanno preferito e preferiscono sommare alla legittima indennità i proventi derivanti dalla violazione del Settimo Comandamento, salvo poi, quando presi con le mani nel sacco, parlare di giustizialismo e di complotti della Magistratura. Ma, come ben sappiamo, la perfezione non è di questo mondo, così come la repulsione verso la vil pecunia, o sterco del diavolo, per dirla con don Basilio Magno, non esonda dall’animo di qualche politico! Forse perché, come ci ha spiegato con fine, squallido ed autoassolutorio realismo il nostro Pigafetta: “il male è nel costume, è nel sangue guasto che corre in tutte le vene della vita pubblica, e ci vuol altro che la gratuità dell’ufficio di deputato per guarirlo!” Sarà pure così, ma intanto, quando vengono presi facciamogli scontare la pena, invece di concedere loro tutti i benefici possibili ed immaginabili, così come ignobilmente accaduto di recente a favore del Celeste Formigoni. Tornando alla nostra piccola storia possiamo tranquillamente ribadire di essere favorevoli alla concessione della indennità di funzione e di carica! Siamo favorevoli perché non vogliamo che il Paese torni ad essere una oligarchia, perché deve essere garantita la giusta retribuzione per lo svolgimento di funzioni pubbliche ed infine, ma non ultimo, perché vogliamo che tutti abbiano la possibilità di dedicarsi alla cura di interessi collettivi. Il problema non è l’assegnazione di una indennità di carica ma il quantum ed il costo complessivo per la comunità!

Quel costo complessivo ammonta ad un fiume di soldi che non giustifica l’esercizio di una moderna ed efficiente democrazia rappresentativa e popolare; un fiume di soldi che avrebbe richiesto un diverso e umile approccio ai problemi della gente, che avrebbe avuto bisogno di vedere una immediata e pronta disponibilità al sacrificio personale da parte dei suoi rappresentanti istituzionali, che invece non c’è stata!

Non hanno mollato un centimetro dei loro privilegi ritenendo che nulla sia cambiato e che tutto sia recuperabile, invogliando la gente a divertirsi (con soldi pubblici) ed a festeggiare a tarallucci e vino. La crisi è seria e profonda! Il debito pubblico raggiungerà circa il 160% del PIL e qualcuno dovrà pagarlo e quel qualcuno sarà ancora una volta la povera gente e non certo lorsignori!!

Incredibilmente non tengono conto di niente e non guardano quella realtà che loro non vivono.

Come disse Seneca: “Un popolo affamato non ascolta ragioni, non gli importa della giustizia e nessuna preghiera lo può convincere”.

Pietro Lucidi

 

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