L’inferiorità femminile tra pensieri filosofici in un saggio di Giulia Sissa
Diceva Thomas Hobbes che «gli Stati sono istituiti dai padri e non dalle madri di famiglia». Pur ammettendo – unico fra i pensatori moderni – una naturale uguaglianza fra i sessi in termini di forza e intelligenza, il filosofo inglese constatava, che a comandare sono sempre stati gli uomini. Inutile girarci intorno, il potere ha sempre avuto e sempre avrà una connotazione essenzialmente maschile, ci ricorda Hobbes. Sarebbe perciò irrealistico e ipocrita pensare che il sapere che l’Occidente ha prodotto sul potere non sia maschilista o patriarcale. Si tratta di rapporti di forza. I maschi hanno sempre comandato, ergo i maschi hanno pure dettato le regole di trasmissione di un sapere che sistematizza i termini di quel comandare.
Da Aristotele a Rousseau, senza soluzione di continuità, si afferma in esso quanto segue: il maschio è il soggetto adatto a decidere, comandare, governare; la femmina a obbedire. I discorsi in cui quel sapere si formulava non si presentavano come proclami ideologici, erano, al contrario, autorevoli esiti del sapere dotto, legittimo, universale. Hanno configurato una tradizione, la cui efficacia ancora si riverbera nella nostra sgangherata contemporaneità.
Il libro di Giulia Sissa L’errore di Aristotele Donne potenti, donne possibili, dai Greci a noi (Carocci editore), prosegue con grande capacità analitica dei testi antichi e moderni, l’opera di demistificazione. Anzi, oltre a farci scoprire un Aristotele meno conosciuto – quasi divertente – ne traccia l’ininterrotta influenza nella cultura europea medievale e moderna, attraverso la sua canonizzazione da parte del cristianesimo, la sua rielaborazione da parte dei pensatori moderni, tutti – o quasi – ancora del suo parere per quanto riguarda le donne.
Nel percorrere analiticamente una simile continuità, il libro di Sissa fa emergere con chiarezza una cosa che a noi oggi pare davvero straordinaria, persino divertente se non fosse stata così influente: le autorevoli e spassionate trattazioni della differenza fra i sessi si presentano nella storia del sapere come oggettive e scientifiche, senza che mai a nessuno dei dotti compilatori – Aristotele, Epitteto, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Rousseau, solo per fare alcuni nomi di autori che Sissa analizza con grande acume – venisse in mente di essere un po’ di parte. Nessuna donna entrò mai nei dibattiti sulla ‘natura’ femminile, sarà per questo che tale natura è descritta sempre in termini passivi, subordinati, infidi e inaffidabili?
Il libro di Sissa ci conduce in un appassionante viaggio nella costruzione del regime di verità patriarcale, nella fase del suo stabilizzarsi scientifico. Se oggi siamo, a detta di molte autorevoli pensatrici femministe, alla fine del patriarcato – di cui i femminicidi, gli stupri sarebbero i feroci colpi di coda – l’epoca di Aristotele fu invece la fase in cui il sapere maschile sul mondo – e soprattutto sulle donne – divenne episteme, scienza. Giulia Sissa ci racconta la costruzione epistemica dell’inferiorità femminile, e la racconta attraverso una minuziosa analisi dei testi. Del resto, nonostante Aristotele fosse, come detto, un sistematizzatore, un elencatore, egli si rivelò anche uno straordinario fornitore di immagini, di metafore, di modi di pensare che restituiscono, attraverso una interessante «logica del concreto», che la differenza sessuale si dà nei corpi, per natura. Ci sono delle specifiche disposizioni fisiche che determinano le posizioni politiche: la passionalità, l’esuberanza, in una parola la virtù politica antica per eccellenza, l’andreia, è sinonimo di virilità, di ciò che per natura caratterizza gli uomini. E tale natura immediatamente determina la cultura: gli uomini hanno il sangue caldo, ma proprio per questo sono coraggiosi, risoluti, adatti a governare. Le donne, invece, pur essendo intelligenti, hanno una «complessione fredda» – non sono stupide ma molli, incapaci di decidere, «superflue, inutili, pericolose. Sono un ostacolo nella lotta come nell’arena politica». Anatomia e fisiologia decidono insomma delle sorti politiche delle donne (e degli uomini). Guarda un po’, la differenza sessuale! Perché essa gode di così poca stima oggi? Forse perché, come si evince da questo bellissimo libro, ne abbiamo sempre avuto a disposizione una versione patriarcale, maschile, androcentrica. Una lettura dell’anatomia e della fisiologia tutta a vantaggio di chi, in effetti, ne scriveva, ovvero i maschi.
Eppure, la cultura greco-antica, oltre Aristotele, ci tramanda anche dell’altro, non è solo sistematizzazione patriarcale della ‘natura’. Figure di donne forti e risolute, capaci di decidere e di agire, di consigliare e temperare gli eccessi passionali di maschi molto caldi, o di incitare all’azione giusta maschi indecisi, fanno da contraltare alla narrazione fisiologica di Aristotele, nel teatro, nella storiografia, nella poesia.
Il libro di Giulia Sissa argutamente combatte, con sapienza e ironia, quell’irrigidimento, dando ampio spazio alle potenzialità alternative di narrazioni del femminile.
Agli antipodi di Aristotele c’è, infine, come argomenta la studiosa, la luce della modernità, accesa innanzitutto dal pensatore seicentesco Poullain de la Barre, che per primo prende sul serio l’uguaglianza naturale di tutti gli esseri umani, insistendo sulla non naturalità di una inferiorità delle donne. Chi la predica è vittima del proprio pregiudizio – di uomo – o si ferma a semplici apparenze. Dopo di lui, un altro pensatore divergente è il marchese de Condorcet, che in epoca rivoluzionaria sostiene – isolato – la causa del diritto di cittadinanza alle donne, in virtù del fatto che non c’è in natura una inferiorità femminile. Si tratta, anche qui, solo di pregiudizio. Infatti, afferma Condorcet, i diritti scaturiscono esclusivamente dal fatto che gli esseri umani sono «esseri sensibili capaci di acquisire idee morali e ragionare su di esse». È solo frutto di pregiudizio affermare che le donne possano essere escluse da questa definizione universale, che siano incapaci di imparare, ragionare, decidere. La loro inferiorità non è per natura, ma è il prodotto di una specifica cultura, che le priva di adeguata educazione.
Insomma, solo poche voci maschili sostengono la causa delle donne, nella lunga storia della loro universale inferiorizzazione. Eppure a esse, Sissa affida quella che lei chiama una «nota di ottimismo». Non ci sarà però speranza per il genere umano se la mascolinità non si sottoporrà a una demistificazione, uguale e contraria a quella che le donne hanno faticosamente intrapreso per sottrarsi alla presa invalidante della tradizione. È necessario, scrive Sissa, che anche il corpo maschile di cui Aristotele ci parla, «che si vuole onnipotente, quella virilità che crede che tutto sia permesso, quella soggettività per cui tutto dev’essere fattibile» venga messo in discussione.
Spostare lo sguardo critico su quel corpo vissuto al maschile è una sfida che si può raccogliere in diversi modi ma che va raccolta, per tutte quelle donne educate da sempre “all’inferiorità”.
Stefania Lastoria