Jumma è morto di fame e di stenti

Aveva gli occhi belli, scuri, luminosi, la fronte alta, i capelli corti. Aveva i denti bianchi. Aveva la vita nel cuore. Jumma.

Jumma è morto. A Tunisi. Di fame. Di stenti. Aveva 23 anni.

Jumma, gambe lunghe, secche. Troppo secche per la fame. Aveva le braccia lunghe. Magre. Troppo magre per la fame. Una fame che gli ha divorato il corpo. Giorno dopo giorno. A Tunisi. A soli 23 anni.

Jumma è morto scalzo. Non aveva scarpe. Non aveva calze. Indossava un paio di pantaloni neri di cotone e una felpa bianca. Corta per le sue lunghe braccia. Aveva il volto sereno, Jumma, in armonia con il creato e con il deserto che aveva attraversato.

Baobabexperience su Instagram pubblica la sua storia, io la riprendo dalla chat Rete#nobavaglio su cui l’ha rilanciata Alice che scrive nel post “vi mando la prima testimonianza di una campagna che Baobab Experience con Mediterranea e On Borders stiamo avviando sull’ultima missione in Tunisia”. Grazie Alice

“Abbiamo conosciuto Jumma un mese fa, il 16 ottobre 2023. Era fortemente denutrito e sofferente. Il suo corpo era raggomitolato in un edificio incompiuto di sei piani, a poche decine di metri dalla sede di UNHCR, un edificio blindato con recinzioni e filo spinato”.

Jumma è morto di fame. Senza rivedere sua madre. Senza salutare suo fratello. Senza un goccio di acqua per alleviare il suo dolore. Jumma è morto aveva 23 anni.

“UNHCR è l’Agenzia ONU per i Rifugiati che “protegge e assiste le persone costrette a fuggire a causa di guerre e persecuzioni in tutto il mondo”. Jumma era un profugo sudanese fuggito da una guerra civile tra le più violente e brutali. Una di quelle che,però, non fa notizia”.

Jumma aveva attraversato il deserto, a piedi, camminando scalzo. Senza cibo e poca acqua. Aveva subito violenze, botte, soprusi, rinchiuso nei lager del deserto. Jumma che fuggiva da una guerra. Jumma che scappava dal Sudan.

“Quando lo incontriamo ci mostra la prescrizione medica dell’ospedale Mongi-Slim de La Marsa, farmaci che non può acquistare perché non ci sono soldi: il contributo economico riconosciuto da UNHCR, di soli 120 dinar, non è sufficiente neanche a sfamarsi”.

La Tunisia non accoglie i “neri d’Africa” anzi li odia, dopo il discorso pronunciato il 21 febbraio dal presidente Kais Saied. “I migranti neri africani sono sistematicamente esposti ad arresti arbitrari o deportazioni nelle aree desertiche di confine. In un clima di persecuzioni e violenze è impossibile lavorare per guadagnare qualcosa senza rischiare la pelle. In Tunisia i migranti subsahariani possono solo nascondersi.

Jumma si nascondeva. Non aveva da mangiare. Era malato. Aveva bisogno di cure. Di medicine. Viveva rintanato in un edificio abbandonato vicino alla sede UNHCR, cercava aiuto. Era solo. Malato. Affamato. Disperato. Ma veniva respinto. È morto, Jumma a soli 23 anni.

“Ci sono migliaia di persone, per la maggior parte di origine sudanese, confinate nei campi abbandonati di olivi attorno a Sfax e a Zarzis e negli edifici abbandonati di Tunisi. Una prigione a cielo aperto: le persone non possono proseguire il viaggio perché non riescono a guadagnare il soldi necessari per pagare i trafficanti; non possono tornare indietro perché indietro c’è la morte…hanno fame. Hanno sete. E adesso hanno anche freddo…”

Jumma è morto. Aveva 23 anni. È morto di fame, di sete, di stenti. Ora il suo corpo, magro, troppo magro per sopravvivere, giace in ospedale ma per l’autopsia. Il corpo di Jumma, un ragazzo alto e magro, dagli occhi belli, scuri, la fronte alta è i denti bianchi, è ancora lì da più di due settimane dalla sua morte. A nessuno, neanche al cugino viene permesso di salutarlo. Di piangerlo. Di accarezzarlo prima di seppellirlo. Jumma è lì sul tavolo della autopsia che forse nessuno gli farà. È morto di fame e di stenti. Jumma…

Claudio Caldarelli