La guerra grande e le vacche nere

“La notte in cui tutte le vacche sono nere” è una celebre espressione di Hegel per criticare la concezione di Schiller sull’Assoluto. Assoluto sta per ab-solutus, ossia sciolto, libero da tutto, da ogni singola parte che costituisce la realtà. In questa concezione le vacche che diventano tutte nere, indistinguibili l’una dall’altra sono proprio queste singole e anche contraddittorie parti che costituiscono il reale. Per Hegel, invece, l’assoluto non è astrattamente incondizionato, ma contiene in sé anche la tremenda forza del negativo, della distruzione, della morte. Anzi, l’assoluto è proprio il risultato positivo di questo incessante conflitto con il negativo. La stessa faticosa tessitura del concetto, della verità non può prescindere dal suo stretto legame con il falso. E cosa ha più concretamente la faccia della morte se non la guerra, essendo questa la produzione umana in grande scala della distruzione?

L’espressione Guerra Grande, invece, è di Lucio Caracciolo e della prestigiosa rivista di geopolitica da lui diretta Limes. Essa è coniata per sintetizzare concettualmente lo stato attuale in cui è attanagliato l’intero pianeta. Stato che discende dalla crisi di egemonia dell’impero americano e dal tentativo di altre potenze di approfittarne. Prima tra esse la Cina. Poli e potenze, però, che non hanno ancora la forza di scalzare quell’egemonia e – soprattutto – di sobbarcarsi il peso enorme di un nuovo equilibrio mondiale. In questa situazione – riporta l’ultimo numero di Limes: “Ci accomodiamo per assistere al nostro suicidio collettivo, quasi potessimo osservarlo mentre lo consumiamo”. Questo perché il negativo, nella realtà del nostro presente, è sempre più oscillante su una soglia che Hegel non poteva neanche immaginare: quella della catastrofe terminale nucleare. Non solo, ricorda infatti Limes, Israele possiede un suo arsenale atomico, seppur non ufficialmente dichiarato, ma potremmo all’improvviso scoprire che anche l’Iran disponga di uno suo, nonostante i controlli e divieti internazionali finora attuati per impedirlo.

E sarà che Lucio Caracciolo è laureato i filosofia, ma il suo editoriale sembra seguire proprio l’approccio hegeliano nel tentativo di ritessere dinamicamente il reale, inglobando l’incombenza della negatività, sebbene nella sua attuale potenzialità di distruzione finale. Il problema, però, oggi si presenta sotto due aspetti strettamente connessi tra loro. L’ultimo ordine mondiale fu stabilito a Yalta al termine della Seconda Guerra Mondiale tra le potenze chiaramente vincitrici e quelle soccombenti. Un ordine fondato sul duopolio stabilito tra Usa-Urss, ossia tra le due maggiori potenze vincitrici. La disgregazione di tale equilibrio è determinata esattamente dalla condizione che non solo non si da più uno dei due poli – l’Urss –, ma che neanche l’altro – gli Usa – risulta più nettamente egemone. Al limite solo un nuovo scontro globale potrebbe ristabilire vincitori e vinti su scala planetaria. Questo, però, solo in chiave del tutto ipotetico-ottimistica, data l’incombenza della sopra richiamata possibilità di suicidio collettivo.

Inoltre – e questo è il secondo inscindibile aspetto – il disordine dell’oggi si mostra sempre più quale espressione di ingiustizia, rapina, razzia di risorse delle potenze economiche, militari e tecnologiche nei confronti di quello che Caracciolo chiama il Sud Globale, ossia il Resto del Mondo. Il Resto, però, si va sempre più configurando come il Prevalente, dato che razzie e rapine – per la loro capillarità e vastità geografica – sono ormai nei confronti dei beni esistenziali primari dell’intero pianeta. Estrazione violenta, efferata, reiterata delle condizioni di vita ambientali, delle stesse possibilità di sopravvivenza nuda, ancora prima che abbigliata di dignità fisica e spirituale, come pure spetta a ogni essere sulla faccia della Terra.  

Non si potrà mai arrivare a una nuova Yalta, a un nuovo status quo, assetto mondiale se non si pone sui tavoli diplomatici anche questo aspetto cruciale dello squilibrio in atto. Il contenuto, l’oggetto di un negoziato strategico, infatti, non può più essere sul riconoscimento di un impossibile schieramento dominante di fatto. Diversamente l’assoluto negativo delle vacche tutte nere, indistinguibili tra loro non potrebbe che essere una cattiva infinità, ossia il reiterarsi di guerre senza neanche più scopo o tremenda speranza di una qualche risoluzione positiva, sebbene pur provvisoria. E l’hegeliana fatica del concetto, della verità nel suo inglobare persino il falso per meglio via via staccarsene, simile alla perpetua condanna di Prometeo, incatenato a un masso e con il fegato divorato dall’aquila della suprema vendetta. Questo senza accampare la consapevolezza che la téchne, la Tecnica umana ha reso quel masso atomicamente armato e innescato. A meno non si voglia prospettare che solo quella resterebbe ormai la liberazione per lui e per l’intero pianeta.

 Riccardo Tavani

 

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