Jamal è morto assiderato
Aveva solo 27 anni, Jamal, di origini marocchine, è morto assiderato la notte del 10 dicembre, dentro un locomotore abbandonato alla stazione di di Verona Porta Nuova. Aveva solo 27 anni, Jamal, è morto di freddo, senza una coperta. Senza il calore di una mano. Senza il sorriso di sua madre. Jamal, aveva solo 27 anni, ed era solo, senza nessuno a cui chiedere aiuto, senza nessuno che lo guardasse morire.
Sono tanti. Tutti gli anni. Ogni inverno, il freddo uccide decine di persone. Senza fissa dimora. Senzatetto. Mendicanti e barboni. Abbandonati da tutti. Invisibili agli occhi della gente, muoiono, tra l’indifferenza della gente che la domenica prega in chiesa e fa la comunione dopo aver confessato i propri peccati. Chissà quanta di questa brava gente, confesserà al sacerdote, l’indifferenza verso gli ultimi che muoiono di freddo. Forse l’indifferenza non è un peccato religioso, ma sicuramente è un peccato etico e morale. Far finta di non vedere coloro che soffrono. Negare la dignità alle persone sole e abbandonate, rendendole invisibili, solo perché chiedono carità, elemosina, compassione. Non è un peccato da confessare, ma sicuramente un peccato dell’anima contro le altre anime che muoiono.
Jamal era uno di loro. Jamal era uno di noi. Jamal era un fratello, morto in solitudine a 27 anni dentro un locomotore abbandonato. Morto di freddo. Morto di indifferenza. Morto senza le braccia della madre a pietire il suo corpo.
Solo nel 2023 sono morti 362 persone, donne, uomini, ragazzi, senza fissa dimora. Morti e dimenticati. Più di una vittima al giorno. Muoiono per strada, sui marciapiedi, o sotto i ponti. Muoiono dentro le carrozze dei treni abbandonati nei depositi, nei sottopassi delle stazioni, sotto i cavalcavia delle superstrade dove sfrecciano super auto da centinaia di migliaia di euro. Muoiono negli edifici abbandonati, nei parchi, sulle panchine. Uccisi dal gelo, dall’inedia, dagli stenti, dalla violenza, ma soprattutto dal dolore della solitudine che si trascinano dentro i carrelli senza ruote, stracolmi di buste piene di stracci sporchi. Tutti i loro averi, che non alleviano la loro solitudine.
Finiscono i loro giorni in silenzio. Senza nessuno con cui parlare. Muoiono i senza fissa dimora, vengono trovati quasi sempre all’alba, per caso, stecchiti, dentro un sacco a pelo rotto, umido e sporco, sotto un cumulo di cartoni, umidi e bagnati. Muoiono. Sono tanti Jamal. Sono tanti fratelli. Sono figli e fratelli nostri, eppure li scansiamo, non li vediamo, li abbandoniamo. I più fortunati di loro, muoiono di freddo, vicino al loro cane che li guarda e non li abbandona. Sono meno soli, quelli che muoiono con un cane vicino. Ma muoiono soli con la sofferenza del sentirsi abbandonati, prima e dopo Natale. Prima e dopo l’avvento. Prima e dopo le feste.
Jamal è morto. Aveva solo 27 anni. È morto dentro un locomotore abbandonato, guardando il cielo buio e nero, dal finestrino rotto, con il vento che soffiava sul suo corpo e lo congelava. Piano piano. Lentamente. Moriva di freddo guardando il cielo senza stelle, nella oscurità totale. Moriva con le mani fredde, le dita dei piedi gelati. Moriva con il respiro che gli gelava i polmoni, non respirava, non riusciva a respirare. Moriva Jamal pensando al giorno che era partito, pensando a sua sorella che lo aveva abbracciato e sua madre che mentre gli metteva in tasca due datteri, gli accarezzava la guancia e i capelli, baciandolo sulla fronte, sussurrandogli nelle orecchie: torna, torna da me. Ma Jamal non tornerà da lei, muore solo, al freddo dentro un treno da cui vede solo il cielo nero e sente la voce della madre che dice, mentre muore: torna, torna da me.
Claudio Caldarelli – EligioScatolini