Frederick perdonaci

Frederick sognava sotto le stelle. Sognava di parlare italiano. Sognava un lavoro. Sognava una condizione più umana. Frederick sognava. Sognava sotto le stelle. È morto sotto le stelle. Ucciso. Ucciso di botte. Senza motivo. Di notte. Sotto le stelle. Ammazzato con calci e pugni. Hanno devastato il suo volto. I suoi sogni. Lo hanno ridotto a brandelli. Sotto le stelle, mentre sognava una condizione più umana.

Frederick Akwasi Adofo aveva 43 anni, originario del Ghana. Dormiva su una panchina vicino al supermercato, a Pomigliano d’Arco. Viveva in strada. Era giunto in Italia nel 2012. Voleva imparare l’italiano. Un po’ lo aveva imparato ai corsi serali dove aveva preso la licenza media. Gli piaceva studiare a Frederick. Gli piaceva parlare con la gente quando gli portava la spesa. Si sentiva accolto. Ma è stato ammazzato, di botte, a pugni e calci, sulla panchina che era la sua casa. La casa dove sognava una condizione più umana.

Non siamo stati capaci di difenderlo, scrive don Patriciello. Un clochard, un mendicante, un senza tetto dalla pelle nera. In verità una persona. Un uomo che sognava. Una anima povera, lontana dalla sua gente, dal suo paese. Lontano dalla sua mamma, dai suoi fratelli. Lontano. Era venuto da lontano ed è morto ammazzato, lontano dalla sua terra. Non aveva niente, Frederick. Aveva solo gli abiti sudici e strappati che indossava. Si lavava alla fontanella pubblica dei giardini comunali. Aveva una saponetta. Consumata. Quasi finita. La usava. Al mattino, prima di andare davanti al supermercato per aiutare le persone con la spesa. Si lavava le mani. Le mani di Frederick erano pulite.

Dormiva su una panchina, senza cuscini. Poggiava la testa ricciuta e ispida, sul legno duro. Aveva paura dell’inverno, Frederick, perché faceva freddo e dormire sulla panchina era ancora più freddo. Sapeva che il freddo poteva ucciderlo, era il suo nemico. Ma lo hanno ucciso i pugni e calci, sferrati senza pietà, su un corpo,che dormiva e non reagiva. Il suo nemico sono state le botte, inaspettate, improvvise, senza motivo. Il suo nemico la barbarie che avvolge di cattiveria gli animi dannati di persone o ragazzi senza scrupoli.

L’estate piaceva a Frederick, la sentiva amica, per dormire gli era sufficiente la coperta della Caritas. Come era sufficiente il poco cibo che gli donavano. La panchina d’estate era la sua migliore amica, gli bastava per essere sereno e sognare una condizione più umana.

Ora ti hanno ucciso, Frederick. Ti hanno ammazzato di botte, a Pomigliano d’Arco, mentre dormivi su una panchina. Eri povero, disperato, ma sognavi. Ora sei volato via, forse alla tua terra, ai profumi e agli odori di casa tua. Dove forse troverai un po’ di pace e la condizione umana che non hai trovato qui.

Ora perdonaci, fratello Frederick. Perdonaci per non averti difeso. Perdonaci per non averti donato una condizione più umana. Ora perdonaci fratello Frederick, perdona noi, che abbiamo “troppo” e non condividiamo il nostro “troppo” e non siamo mai felici di quanto abbiamo.

Frederick Akwasi Adofo è stato ammazzato a calci e pugni, su una panchina, mentre dormiva. Mentre sotto le stelle e sognava una condizione più umana. Mentre sognava, sorrideva, cantava, a volte piangeva. Si, Frederick piangeva quando pensava alla sua terra, ai suoi odori, piangeva e condivideva il pianto co i suoi sogni. Sotto le stelle, mentre lo ammazzavano di notte, sognava la sua terra, i suoi profumi. Sognava, Frederick, mentre lo uccidevano, il seno della madre che lo allattava. Moriva, sulla panchina, e ne sentiva l’odore, del latte.

Perdonaci, Frederick…fratello…

Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini