Crisi climatica, giustizialismo e garantismo

New York sotto una fitta caligine arancione, ai primi di giugno, è stata l’immagine più suggestiva e drammatica del danno planetario provocato dagli incendi boschivi, quest’anno più numerosi e diffusi rispetto al passato. Il Canada ha cominciato a bruciare ad aprile, producendo tanto fumo da oscurare e rendere irrespirabile l’atmosfera di ampie aree del Nord America.

Ogni anno gli incendi boschivi immettono nell’aria tonnellate e tonnellate di CO2: 1,7 miliardi di tonnellate nel 2021, ultima stima consolidata, oggi probabilmente già superata ad inizio stagione.

Ma, come si è visto nelle immagini da New York, gli incendi producono quantità altrettanto grandi di fumo (cioè particolato), cui si aggiungono varie sostanze chimiche tossiche come la diossina, che si diffondono nell’aria senza incontrare ostacoli, e lì a lungo rimangono. Non solo effetto serra, ma anche avvelenamento dell’aria, di cui sono noti gli effetti in termini di malattie e mortalità. E, distruggendo sempre più alberi, riducono le capacità del pianeta di assorbire dall’atmosfera anidride carbonica.

È evidente che la crisi climatico/ambientale ha innescato un meccanismo di auto mantenimento, un circolo vizioso ormai in grado di vanificare i nostri tardivi e timidi sforzi per contenerla. La siccità e il caldo fanno moltiplicare gli incendi, che a loro volta moltiplicano la produzione di CO2 e inquinanti.

Il nostro governo non sembra preoccuparsene, intento com’è a trovare altro gas, tanto per peggiorare le cose: lo chiama piano Mattei, per farlo sembrare più cool. Anzi, la priorità del governo, appena insediato, è stata affrontare il grave problema dei rave party. Ma tutte le priorità della politica sono drammaticamente risibili, a fronte della sua indifferenza rispetto alla crisi ambientale.

Perciò mi scuso di dover parlare di cose futili, come le nuove leggi volute dal governo. L’umanità non ha più tempo per questi giochetti politici, ma purtroppo bisogna occuparsene, perché anche questi sono veleni.

Il governo aveva un’urgenza talmente forte, che il decreto “rave” fu messo al voto con il metodo della ghigliottina, cioè impedendo che ci fosse alcuna discussione parlamentare, nonostante il fatto che la maggioranza fosse ampia e certa.

La discussione doveva essere impedita perché nel decreto – come al solito – c’erano elementi eterogenei e bisognava impedire che se ne parlasse troppo. Anzi, secondo me il decreto sui rave party fu una scusa, opportunisticamente utilizzata per veicolare altre cose per le quali un decreto ad hoc sembrava improponibile persino a “questi qua”.

Infatti, ci hanno infilato due misure che con i rave non avevano nulla a che fare, ma erano, evidentemente, altrettanto urgenti. La prima reintegrava anticipatamente in servizio il personale sanitario no-vax e condonava di fatto le multe ai non vaccinati. La seconda eliminava i reati contro la Pubblica Amministrazione dall’elenco dei reati ostativi, cioè quelli per i quali si possono perdere i benefici penitenziari. Resta da dimostrare l’urgenza dei provvedimenti e la liceità di tenerli insieme in un unico decreto.

Il messaggio, comunque, è abbastanza chiaro: a noi interessa segnare la nostra identità, difendere i gruppi sociali da cui prendiamo più voti; per il resto arrangiatevi, la legge non è uguale per tutti. Il governo ha deciso di dare una mano a chi danneggia il bene comune (come la salute e la pubblica amministrazione) e di usare la mano pesante con chi danneggia i beni privati (come gli organizzatori dei rave party).

Con questa premessa non c’è da stupirsi che lo stesso criterio tenda a persistere in tutte le iniziative legislative del governo.

Anche la minaccia di rendere la maternità surrogata un “reato universale” si inscrive in questo quadro. A quanto pare, tale pratica è considerata dal governo caratteristica delle coppie omosessuali, contro cui ha deciso di accanirsi, tanto per non smentire le sue nostalgie. Ogni volta che si vogliono difendere i diritti degli omosessuali (o dei loro figli), si tira fuori l’argomento dell’”utero in affitto”, anche se non c’entra niente e comunque non è in affitto. Lo strabismo di partito impedisce ai nostri governanti di vedere che sono soprattutto le coppie eterosessuali sterili a ricorrere a quel sistema. Ma poi, può una legge italiana far diventare universale un qualsivoglia reato, che in tanti altri paesi civili non lo è?

Un reato si definisce universale quando tutti gli Stati (salvo rare marginali eccezioni) lo riconoscono come tale: per esempio la pedofilia, i crimini di guerra, la pirateria e via dicendo. Un singolo Stato, semplicemente, non può decidere da solo che è reato universale una pratica che in moltissimi altri Stati, al contrario, è perfettamente legale.

Con la nuova legge, se dovesse andare in porto, un cittadino danese, belga, olandese, greco, britannico, statunitense, canadese eccetera, che ha fruito legalmente di una maternità surrogata nel suo Paese, in Italia dovrebbe essere perseguito. Magari arrestato non appena toccasse l’italico suolo, visto che il “pericolo di fuga” sarebbe inevitabile.

Ma ci rendiamo conto che, oltre che assurdo, è legalmente insostenibile? Che senso ha promulgare una legge in contrasto con quelle vigenti nella maggior parte dei Paesi con i quali abbiamo vincoli di alleanza e amicizia? Particolarmente nei Paesi europei, da quando il diritto comunitario è considerato dalla giurisprudenza prevalente rispetto a quello nazionale.

Anche questa è una battaglia identitaria del tutto inutile, a fronte dei più gravi problemi che dovremmo affrontare.

In una recente rubrica radiofonica del mattino, una donna è intervenuta raccontando con molto equilibrio che una sua figlia aveva “prestato” il proprio utero alla sorella per consentirle di avere un figlio nonostante fosse sterile. Lei, come le sue figlie, non lo vedeva come una prevaricazione, sfruttamento o mercificazione della donna: lo considerava un atto d’amore. Ovviamente gratuito, come negli altri (incivili?) Paesi nei quali è lecito. Il conduttore, di area cattolica (un giornalista di Avvenire), giustamente non ha trovato nulla da ridire su una storia così profondamente etica.

Reato universale? proprio non si direbbe.

Ma usare lo slogan “utero in affitto” come fosse una clava, serve a squalificare qualunque istanza provenga dal mondo LGBTQ+.

Sulla stessa linea di ingiustizia e inutilità si muove l’ennesima riforma giudiziaria, targata Nordio.

Al di là delle questioni di merito, che pure sono tante, vorrei far notare lo strano atteggiamento del ministro. Seccato dalle critiche dell’associazione magistrati, le ha qualificate come indebite “interferenze”, anche perché «l’interlocutore istituzionale del Governo e della politica non è il sindacato, ma il Csm». L’affermazione è davvero sorprendente.

Il CSM, infatti, non è un organo di rappresentanza dei magistrati, ma di autogoverno, che è tutt’altro. Oltretutto è presieduto dal Presidente della Repubblica: ve lo immaginate un ministro (o “la politica”) che discute un disegno di legge col Presidente, o un Presidente che si mette a rappresentare le istanze dei magistrati? In alternativa potrebbe discuterne con il vicepresidente del CSM, che però non è un magistrato ed è stato messo in quel ruolo dalla maggioranza di governo: come dire che Nordio discuterebbe volentieri con la propria parte, mai con una controparte. D’altronde, anche le associazioni di categoria sono enti perfettamente legittime ed hanno pieno diritto di critica, che per Nordio, al contrario, apparterrebbe solo ai singoli magistrati, come si legge in una sua recente intervista (Il Sole24ore, 17 giugno 2023).

Ma può mai essere che un ministro ed ex magistrato sia così ignorante o stupido? Certo che no, anche se talvolta l’età matura può giocare brutti scherzi. Allora, semplicemente, non vuole avere interlocuzione né contraddittorio con nessuno.

E lui sarebbe un garantista.

Poi ci sono i cavilli sui costi e la riservatezza delle intercettazioni.

Il tariffario vigente è stato firmato da Nordio alcuni mesi fa. Ora le intercettazioni costano troppo?

La riservatezza e l’accessibilità delle intercettazioni è già normata con criteri garantisti dalla riforma Orlando e dalle successive modificazioni. Nordio proclama di voler introdurre tutele che già esistono a garanzia degli indagati e di eventuali terze persone. Aggiungerne altre non si capisce a che cosa debba servire, se non a favorire corrotti e mafiosi. Oppure si tratta solo di mettere il bavaglio ai giornalisti: e qui ritorna il tema della nostalgia.

Ultima baggianata contenuta nel progetto di riforma è che per arrestare una persona occorre la pronuncia di tre magistrati, nessuno dei quali abbia mai avuto a che fare in precedenza con l’imputato. Ma non c’era già il tribunale del riesame, organo collegiale, a garanzia dell’imputato? Però, essendoci il solito problema della carenza di magistrati, si prevede che la norma andrà in vigore fra tre anni, perché allora senz’altro il problema sarà risolto: beata ingenuità. Ma poi non basta un giudice ad arrestare un qualunque Impagnatiello? Forse secondo Nordio i magistrati non sono affidabili: tutti tranne lui, immagino.

Infine, c’è l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Dopo molti anni di lavoro in enti pubblici come gli ospedali, ne ho visti parecchi, di abusi: concorsi truccati, concorsi omessi, affidamento di incarichi (beninteso, remunerati) saltando a piè pari le norme obbligatorie di selezione. Per non parlare delle gare di appalto. Devo dire che, per mia esperienza, mai nessun pubblico amministratore ha esitato a firmare un provvedimento irregolare, ma molti esitavano a firmare provvedimenti dovuti: non per paura di essere perseguiti per un loro eventuale errore, semplicemente perché non avevano alcun tornaconto a firmare.

A quanto pare Nordio è troppo ingenuo per saperlo.

In compenso, non ho visto nessuno di questi perseguito per abuso d’ufficio. Forse per questo il ministro lo ritiene un reato inutile.

Tutto ciò mentre il mondo brucia, si surriscalda e presto manderà in malora anche “questi qua”. Ma non hanno proprio niente di meglio da fare?

Cesare Pirozzi