Bullismo e cyberbullismo

Arroganza e prepotenza, violenza verbale e fisica, sottomissione, paura e tanto altro sono gli elementi usati dal branco contro le ragazze o ragazzi più fragili.

Il bullismo, dall’inglese bullyng, tiranneggiare, spadroneggiare, intimidire, indica un abuso di potere fisico, verbale o psicologico, messo in opera in modo continuativo e organizzato contro qualcuno che non è in grado di difendersi.

Uno studio mirato del ministero della Istruzione con l’Università di Firenze, su un campione di scuole, studenti e docenti, segnale che il 22,3% degli studenti e studentesse è stato vittima di bullismo da parte di coetanei. Molti in modo occasionale, ma quasi il 3% in modo sistematico.

Lo studio entra nei particolari e denuncia che il18% ha preso parte attivamente a episodi di bullismo verso una compagna o compagno. Anche questo dato scorporato ci dice che il 16% in modo occasionale è il 1,5 in modo sistematico.

Ma non c’è solo il bullismo, c’è anche il cyberbullismo, il 7% di cui la maggior parte in modo occasionale e 1% in modo sistematico. Sono dati allarmanti, superiori alla immaginazione. Il fenomeno di violenza supera i controlli e le prevenzioni, lasciando tantissimi studenti e studentesse alla mercé di piccoli tiranni che usano la forza per sottomettere ed estorcere. C’è molto da fare per eliminare questo fenomeno che coinvolge migliaia di ragazze e ragazzi. Ci sono molti consigli e molti centri di prevenzione. Un manuale di sostegno della Erickson “Cosa fare e non” per insegnanti ed educatori che mantengono alta la vigilanza di osservare e sospettare disagio negli sguardi bassi e nei non detti di alcuni studenti. In occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e cyberbullismo che si celebra il 7 febbraio, il manuale della Erickson propone un decalogo estratto dai consigli contenuti nel libretto:

Tenere a mente che il bullo vorrebbe essere parte attiva delle situazioni

Non chiamare sempre in causa l’autorevolezza del proprio ruolo di insegnanti.

Valorizzare l’esigenza del bullo di ricercare relazioni, seppur con modalità disfunzionali.

Non avallare l’idea che essere forti significa non provare sentimenti.

Non giudicare la persona, ma i comportamenti.

Non schierarsi apertamente dalla parte della vittima, anche il bullo è una vittima e ha bisogno di aiuto.

Non fare riferimento a carenze nell’ambiente familiare del bullo.

Non fare presente alla vittima le sue difficoltà relazionali prima di averla protetta dalle prepotenze.

Non lavorare con gruppetto di alunni (autori e vittime) della dinamica senza coinvolgere l’intero gruppo di classe.

Non colpevolizzare i genitori.

Emanuele Caldarelli

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