MANUELA KUSTERMANN È KIKI DE MONTPARNASSE AL TEATRO VASCELLO
Ottima l’interpretazione dell’attrice che il 13 febbraio 2024 ha debuttato al Teatro Vascello con lo spettacolo “SOUVENIR DE KIKI”. Il monologo di Manuela Kustermann con la regia di Consuelo Barilari, prodotto da La Fabbrica dell’Attore, da Schegge di Mediterraneo e Festival dell’Eccellenza al Femminile, è estratto dal libro “Diario di una modella” scritto da Alice Prin, vero nome di Kiki e ci racconta alcune fasi della sua vita durante uno dei periodi artisticamente più movimentati della Parigi dei primi del Novecento, la Belle Époque.
Ritratto di Man Ray con il quale ebbe una sregolata storia d’amore per ben sei anni.
Kiki nasce in Borgogna a Châtillon sur Seine nel 1901, non conoscerà mai suo padre e vedrà raramente sua madre che si trasferisce a Parigi e la lascia in campagna dai nonni insieme agli altri cugini anche loro senza padre. Nel monologo si evidenzia la grande difficoltà che incontra la bambina a vivere nella casa dei nonni insieme ai tanti cugini, la difficoltà a trovare piacere nello studio e nell’andare a scuola, la difficoltà a sentirsi amata e compresa dalla mamma che vede raramente (forse una o due volte l’anno per le feste comandate) il rapporto con la madre è basato sul fatto che invia alla nonna cinque franchi al mese per la sua sussistenza, tutto qua. E con cinque franchi al mese non si riesce a mangiare abbastanza!
Ci racconta di una infanzia in cui la fame la fa da padrona, la scarsità di affetto e di attenzioni, rendono la bambina una ribelle sin da subito,
a dodici anni seguirà sua madre a Parigi iniziando a lavorare nelle fabbriche per pochi franchi al mese.
Lasciata la campagna, nella sua vita parigina a quindici anni comincia a fare mille lavori diversi, ma nessuno dura a lungo così comincia a fare da modella ai vari artisti mostrandosi nuda senza pudore o ripensamento, pur di mangiare qualcosa.
Sembra che il fulcro di tutta la sua vita sia la fame: ogni attimo viene vissuto con l’obiettivo di mangiare. Il cibo diventa per lei elemento vitale che la accompagnerà tutta la vita e che sarà ciò che la spinge a vendere il suo corpo pur di nutrirsi. Il mangiare diventa un termine di paragone che le consentirà di diventare quello che è stata, principalmente una modella, ma anche una pittrice ed una scrittrice. Nel periodo della Belle Époque francese riesce a diventare la regina di Montparnasse, esibendosi in locali, cantando e ballando in un turbinio di esperienze con artisti famosi che fanno a gara per ritrarla e per poterla avere come modella.
Modigliani, Picasso, Cocteau, Man Ray, Fujita, pittori e fotografi dell’epoca fanno di lei un’icona. Tutti i migliori artisti fanno a gara per contendersela e per poterla ritrarre e per poter avere una storia con lei.
Ernest Hemingway ce la descrive come “una regina, il che è molto diverso dall’essere una signora”, sua la prefazione del libro di Kiki.
MANUELA KUSTERMANN CI RIPORTA INDIETRO NEL TEMPO
Un viso bellissimo ed un corpo straordinario come quello di Kiki, la Kustermann riesce a farla riviere sul palcoscenico, a farla palpitare e fremere durante il racconto della sua vita travagliata, sempre lucida, coerente, mai incline all’autocompassione o alla malinconia melensa. Semplicemente efficace e sintetica, raramente retorica e sopra le linee, ci parla si sé/ di lei, alternando il racconto in prima e in terza persona, mentre batte i tasti della vecchia macchina da scrivere, un suono piacevole e dimenticato che ci riporta piacevolmente indietro nel tempo.
Scrive il suo diario senza rimpianti o ripensamenti, concludendo con una frase che ci lascia capire quanto peso, nella sua vita sregolata e malsana, abbiano avuto il cibo, il vino, il sesso e le droghe: morirà sola in ospedale nel 1953, ingrassata di ottanta chili con diverse malattie incurabili a causa della sua vita senza disordinata e senza limiti.
Interessante la scenografia che con pochi, ma indovinati elementi, lascia ampio spazio allo spettatore per immaginare la Parigi dell’epoca, attraverso la riproduzione di filmati originali proiettati
su un velo scuro molto simbolico, che divide il palco dalla platea e che rimane calato per tutto il tempo a significare la separazione tra narrazione e realtà.
Silvia Armadio