Pedigree e guinzaglio dentro di noi

Il neo ministro della cultura, Alessandro Giuli, ha parlato recentemente delle sue ascendenze familiari spiccatamente di destra. “Perché sono diventato di destra? È stato naturale. Era nel pedigree. Ho avuto un nonno monarchico e da parte paterna un nonno che ha fatto la marcia su Roma, che ha portato la famiglia a Salò. E anche un padre che ha lavorato nel sindacato della destra sociale, insomma tutto il pedigree“. (AdnKronos, 6 ott. 2024). Altre fonti riferiscono che il padre del ministro era anche conoscente di Giorgio Almirante, lo storico leader del Movimento Sociale Italiano, il partito di destra con la fiamma sulla tomba di Mussolini nel simbolo. La fiamma di tante polemiche, dato che Fratelli d’Italia l’ha mantenuta nel suo simbolo di oggi, e sembra non avere proprio alcuna seria intenzione di rimuoverla.

La dichiarazione di Giuli, però, va considerata ben al di là della contingente polemica politica. Essa, infatti, pone a tutti noi un dilemma molto più vertiginoso, esistenziale, si potrebbe dire. La persona Alessandro Giuli, la sua coscienza, il suo intelletto non scaturiscono da un processo proprio, autonomo di osservazione ed elaborazione della realtà, della storia del mondo e della nostra civiltà, della sua cultura e delle altre culture, fedi, teorie e prassi. No, essa nasce già inesorabilmente, cromosomicamente improntata a destra. Altra possibilità casuale o di individuale libera scelta in nessun modo le sono concesse. Essa è pre-formata ab origine, e in quanto tale come sorvegliata da un angelo custode che la guida invisibilmente, la consiglia, le bisbiglia, le tiene al guinzaglio la coscienza, Ossia: non è data in quanto tale l’autonoma persona Alessandro Giuli. Essa, infatti, è solo una variazione somatica, il mero prolungamento di una cifra genetico-patriarcale scesa di nonni, padre, figlio, e chissà dove e se si dissolverà.

Ma se questo è vero per il ministro della cultura dell’attuale governo Meloni, quanto sarà ancora maggiormente cogente per discendenze ancora più radicate, sprofondanti alle origini stesse delle civiltà? Pensiamo ai molti atroci conflitti nel mondo. Domandiamoci tutti: se fossi io di origine ebraica, come non sentire le orrende stragi e rapimenti del 7 ottobre del 2023 simili a un terremoto non del suolo, ma dell’intera Storia che fa riemergere lo spaventoso continente dell’Olocausto, della Shoah che si pensava definitivamente sommerso? E ancora più indietro: se fossi nato negli anni del trionfo in Italia di Mussolini prima, e poi di Hitler in Germania, non potrei essere stato io stesso avvolto e trascinato nell’ondata di accecamento nazi-fascista, come tanti, troppi, partecipando attivamente – foss’anche solo molecolarmente – a quell’immane catastrofe della civiltà? Chi, cosa può garantire che non avesse perentoriamente bisbigliato alle mie orecchie, e al guinzaglio della coscienza l’angelo custode del genocidio?

Ragionamento e ragioni simili, naturalmente, possono applicarsi a ogni latitudine del mondo, così come agli islamici. Proprio in Iran, allora Persia, americani e inglesi attuarono nel 1953 un colpo di Stato contro il governo democratico progressista di Mohammad Mossadeq, per garantire la continuazione indisturbata dei propri saccheggi di risorse – primo tra tutti quello petrolifero – e interessi strategico-militari. Il vessillo dell’integralismo e dell’intolleranza religiosa della Repubblica islamica dell’Iran è agitato proprio quale unica possibilità di riscatto da quel predominio di predoni satanico-internazionali. Quasi una continuazione della bandiera ideologica dell’ex Unione Sovietica nelle lotte di liberazione nazionali del Terzo Mondo contro l’imperialismo americano e atlantico.

Al di sopra di ogni parziale per quanto angelico pedigree custode c’è quello della loro somma, dell’intreccio dialettico d’incontro e scontro tra tutti essi. È quello dell’intera civiltà mondiale. Possono avanzarsi davvero pochi dubbi che quella dominante oggi sul pianeta sia da tempo la civiltà occidentale. Lo è economicamente, scientificamente, tecnologicamente. Ossia nei settori strategici cruciali. Anche se destinata all’occaso, al tramonto – come è nell’etimologia stessa della parola ‘Occ/idente’ – essa segnerà ancora di sé moltitudini, individualità e solitudini. Ogni individuo, per quanto possa detestarla e combatterla, non può fare a meno, in nessun modo, di recarne dentro di sé l’intera cifra. Civiltà di sconfinate grandezze e sterminate miserie, la cui essenziale ragion d’essere, però, è proprio la negazione dell’essere. Ossia la religione, la fede suprema nella forza, nella potenza e prepotenza per piegare l’essere, ogni essere, situazione, sentimento, parola, pensiero ad addivenire ad altro da quello che è, e ridurlo sotto la disposizione esclusiva della propria volontà di dominio su esso. E questo accade non meramente per i fini ignobili, ma anche per quelli cosiddetti nobili. Anche questi negano l’essere, aspirando alla sua modificazione, sostituzione con altro da sé. Così che ignobili e nobili sono solo punti di vista, variazioni particolari, locali di un  unico pedigree totale. 

Per questo il Polemos, la guerra, secondo quanto già affermava il filosofo greco Eraclito nel V secolo avanti Cristo, rimane ancora oggi “padre di tutte le cose e di tutte re”. Ed essendo l’antica Grecia l’origine della stessa civiltà occidentale, questo è l’indelebile pedigree, angelo custode psico-somatico che ci accompagna e guida. Solo che da quella origine greca scaturisce anche il logos, il discorso, la ragione, la parola, l’agire comunicativo, per dirlo in termini più attuali. E questo nella sua più autentica accezione – se vuole sfuggire alla dialettica ignobile/nobile – non può che staccarsi criticamente da qualsiasi pedigree e guinzaglio, nel senso di fede, credo, visione, evidenza, persino la più conclamata e apparentemente oggettiva, ma pur sempre discendente dal paradigma oggi dominante l’umanità.

Riccardo Tavani

foto di copertina: Francisco Goya, Cani al guinzaglio, 1775