L’apoteosi del denaro

L’apoteosi del denaro sommerge, in una pioggia  di banconote,  la bellezza dell’amore, distruggendo in un solo colpo le emozioni più pure e le promesse di una vita felice. L’avidità di cui l’umanità si nutre, sconvolge qualsiasi sistema alternativo alla ossessione degli averi. Il messaggio giunge al pubblico in modo chiaro e forte. L’avaro di Moliere,  ambientato negli anni settanta, portato in scena al teatro Quirino di Roma, dal regista Luigi Saravo e interpretato da un impareggiabile Ugo Dighero, ci mostra il peggio dell’animo umano, senza sconti e senza scrupolo alcuno. Una compagnia di attrici e attori ben sincronizzata, calcano la scena con naturalezza senza lasciare spazi vuoti. Due atti di irriverente ed ironica denuncia dei mali del secolo che uccidono il pianeta. Ugo Dighero svolge un lavoro enorme da protagonista e da riferimento sia nei movimenti che nelle battute di una compagnia numerosa e altrettanto brava: Mariangela Torres, Fabio Barone, Stefano Dilauro, Cristian Gianmarini, Paolo Li Volsi, Elisabetta Mazzullo, Rebecca Redaelli, Luigi Saravo.

La scenografia, mobile e curata negli oggetti, di tipo consumistico, ai contraddicono con l’aratro di legno e altri oggetti, una volta di prima necessità. Ora, nelle vetrine campeggiano orpelli, gioielli, vestiti, paillettes e lustrini, che ha nulla servono se non a riempire l’ego di una umanità svuotata dai sentimenti. L’avaro, non sempre negativo, cerca di risparmiare, anzi più che risparmiare vuole non consumare, rifiutando il condizionamento della pubblicità, che invita a comprare a rate cose inutili. Una denuncia degli attuali sistemi economici attuali, che distruggono il pianeta con il cambiamento climatico, lo riempiono di spazzatura uccidendo gli oceani, lo inquinano con gli sprechi di ogni genere, non ultimo lo spreco alimentare. Ottima intuizione del regista Saravo nel mettere in scena una commedia di secoli fa, attualizzandola talmente bene, da far sentire il pubblico colpevole di non aver aperto gli occhi difronte a tanta stupidità. Si, in scena c’è lo specchio della stupidità umana che non conosce più l’amore, anzi, quando lo conosce, subito lo disconosce, inginocchiato davanti all’altare del dio denaro. Il pubblico applaude a più riprese, il ritmo e la velocità della recitazione li  tiene con il fiato sospeso, i colpi di scena non mancano, anche se ognuno poi rimane solo con il suo spreco e inutile consumismo. L’amore che va in scena fa sperare in un risveglio dei sentimenti che possa seppellire l’avidità, e mentre osserviamo la bellezza dei corpi che si desiderano, ci sentiamo parte di quello stupendo amore, sia fisico che spirituale. Tengo le dita intrecciate ad altre dita, che sfiorano le mie dita, penso che quell’amore sul palco è il mio amore che sento vicino. Ma poi tutto svanisce. Il colpo di scena finale, di una immensa pioggia di denaro, annega tutto e tutte e tutti. Riesplode la guerra fratricida che distrugge, tutti si azzannano per quel denaro. L’umanità intera alla deriva su zattere di neve, affonda. Affonda, affondata dai poteri forti della finanza e della pubblicità, del consumismo e dello spreco. Rimango seduto, con le dita intrecciate ad altre dite, che non si sono sciolte: mi piace l’idea che ci sei.

Claudio Caldarelli