Buon meno peggio all’infanzia nell’interezza del mondo a pezzi

Chi fa gli auguri non spara agli uccelli. Figurarsi bombardare la Natura, con umani e la sua infanzia dentro. All’origine della nostra civiltà qualcuno guardava molto attentamente il cielo e il volo degli uccelli. Lo faceva perché era investito dalla responsabilità, e quindi dall’autorità di pre/dire per le comunità cosa stava ruzzolando giù dall’imprevedibile futuro prossimo. Questo qualcuno nell’antica Roma viene chiamato augur, augure. Il nome latino deriva da auger, composto da av-is,  poi adattato linguisticamente nel dittongo au-is, volatile, augello, più il verbo ger-o, fare, operare. Ossia, fare l’augure, possedere l’arte dell’interpretazione dei segni al momento più apparenti. La logica era quella delle relazioni e corrispondenze tra i vari aspetti della natura. Da un certo assetto del volo degli uccelli, così come dei pianeti, nella loro inseparabilità dal cielo, ossia dal tutto, se ne poteva dedurre una disposizione più generale che si preparava ad assumere l’intero.

Oggi ne possiamo anche ridere, ma nel sottosuolo delle civiltà umane questo sguardo puro al cielo, ossia alla totalità, rimane perfettamente conservato. Ne è stata prova l’attenzione dedicata da uno dei padri della psicoanalisi, Carl Gustav Jung, agli I Ching, il Libro dei Mutamenti, fondamento dell’antica cultura cinese, risalente al X secolo avanti Cristo. “L’I Ching, afferma Jung nel 1924, è come una parte della natura che aspetta di essere scoperta” . Il metodo interpretativo consiste nel porsi una domanda e affidare la risposta al lancio di tre monete uguali. Alla diversa disposizione che assumono di volta in volta le loro facce su un piano (di un tavolo, di un pavimento, della terra nuda) corrispondono dei responsi in esametri (sentenze in sei versi), che costringono i lanciatori a riflettere profondamente – anche con l’aiuto di un saggio – dentro sé stessi, sulle persone e le situazioni intorno a lui, estendendo la riflessione in cerchi sempre più ampi, comprendenti la comunità, la città, lo Stato, la Natura. Per Jung la casualità dei lanci e dei responsi corrisponde a una sincronicità, la quale, invece, non è per niente casuale tra i più rilevanti eventi esterni e l’inconscio personale e di una intera collettività.

Non possiamo pensare che questo originario tentativo di connessione tra determinati segni del presente per pre/vedere, pre/dire il futuro, al fondamento delle diverse civiltà umane, sia scomparso. No, è soltanto mutato, e anche unificato in quella specie di super civiltà neo-tecnologica contemporanea che avvolge tutto il pianeta. Le statistiche, i sondaggi, gli (iper) esperti, specialisti di ogni branchia del sapere sono i nostri moderni auguri, con le loro modalità, spesso aspramente contrastanti, della contemporanee arti divinatorie. Giornalisti, opinionisti, retroscenisti, celebrati guru della geo-politica e strategia, spesso, però, non ne azzeccano una. Scrivono e dicono parole che la realtà sta già sbriciolando nell’istante stesso del loro esprimersi. Cos’altro se non oroscopo a scopo oro! Tanto nessuno verifica le loro precedenti affermazioni. Anzi, il giorno dopo, con l’aureola ancora più accecante, eccoli pronti, neanche più a divinare, quanto direttamente a pontificare. E in crescendo gli statisti, i leader politici, le loro neo-orwelliane fattorie degli animali, a sentenziare l’opposto di ciò che hanno proclamato ventiquattro h prima. Prima che i cieli, le terre, la natura, le città, le umane genti,  le loro infanzie, a essere bombardata, gassificata, stuprata, evirata d’autorità è – la verità. E con essa la sua scaturigine più difficile da conseguire, la giustizia, ma impossibile senza la prima. Perché a forma di s-verità, unica e indiscutibile, è stato eletto il delirio di potenza. Non solo la prima vittima della guerra è la verità; ma si elegge preventivamente a propria vittima la verità, per schiacciarla poi con i più progrediti mezzi tecno-scientifici della guerra, i quali sono l’esercizio permanente e la proclamazione drogata della propria follia di potenza. Soprattutto da quando la guerra contemporanea si è spostata dai fronti, dalle trincee, dai campi di battaglia alle città, al bombardamento, massacro, riduzione alla fame di civili. E con il termine ‘civili’ ormai è da intendere prevalentemente – bambini. Che non sia stato ancora istituito un Tribunale Internazionale per i Crimini di Guerra contro l’Infanzia, e neanche se ne parli, cos’altro è se non trionfo della folle volontà di potenza d’armamento umana.

Follia che poi si stende a ogni altro aspetto ideale e pratico della vita, della cultura quotidiana. Dice il filosofo Emanuele Severino: “Noi siamo il cielo che crede di essere i cacciatori che guardano in cielo gli uccelli che vogliono catturare. Questa è la volontà di potenza, di dominio che è presente tanto nelle cose abiette come nelle cose nobili”. (Gloria – Festival di Filosofia, Modena 2014).

Resta davvero poco, dunque, da augurare piamente per il nuovo anno. Non più del titolo di questo pezzo: Buon meno peggio all’infanzia nell’interezza del mondo in pezzi. Perché solo il cielo terso d’uno sguardo senza illusioni è testimone del trascendimento incontrovertibile di quello oggi ridotto in frantumi.

Riccardo Tavani