Niger, sabbia e rabbia armata anti Occidente

Da non confondere in nessun modo con la quasi omonima Nigeria, il Niger non è soltanto uno Stato africano: il Niger è l’Africa. Se ci mettiamo davanti alla carta geografica, esso appare incastonato un po’ in altro a destra, come un vero e proprio cuore continentale. Una vastità di 1 milione e 267 mila chilometri quadrati, con poco più di 25 milioni di abitanti e una densità di 17 persone per Km . Quattro volte l’Italia, con meno della metà dei suoi abitanti, e una densità di popolazione dieci volte inferiore. Attorno ai suoi confini pende la collana degli Stati attualmente più nevralgici dell’Africa Occidentale e di tutto il Continente: Algeria, Libia, Ciad, Nigeria, Benin, Burkina Faso, Mali.

Mercoledì 26 luglio un colpo di stato militare – guidato dal colonnello dell’aeronautica Amadou Abdouramane – ha deposto il governo in carica, arrestando e incriminando il presidente eletto Mohamed Bazoum e diversi ministri. Il Niger è anche una tessera cruciale all’interno di un puzzle di quindici stati riuniti nell’Ecowas, in inglese, o Cedeao, per i francesi, ossia la Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale. Il colpo è stato violento, il contraccolpo dei vicini immediato. Hanno minacciato un intervento militare unitario se in golpisti non avessero rinunciato al loro progetto e restaurato l’ordine abbattuto. È stato anche fissato un ultimatum improrogabile alla domenica del 6 agosto scorso. Il 12 agosto si sono poi riuniti i capi di Stato Ecowas, ma solo per procrastinare l’ultimatum e l’intervento militare a data da destinarsi. Si ceca di dare spazio a tutte le mediazioni possibili: locali, regionali, continentali, internazionali, pur di scongiurare la guerra. Questa, infatti, ne innescherebbe immediate altre, elevando a potenza cubica il rompicapo in atto.

Insieme al Niger, altri Stati sono attualmente sospesi da Ecowas, per analoghi ricorsi ai golpe militari: Burkina Faso, Guinea e Mali. Giunte militari pronte a schierarsi a fianco di quella nigerina, mentre dall’altra parte non tutti gli Ecowas, al momento, sono disponibili ad avventurarsi in un infernale ginepraio armato. Che sarebbe di dimensioni e ramificazioni ben maggiori di quelle pur indistricabili della Libia.

Qual è, dunque, la vera posta in gioco? Il deposto governo e presidente del Niger sono stati sì eletti democraticamente, ma con forti ombre di ricorso a corruzione e repressione. Essi, inoltre, rappresentano fondamentalmente gli interessi occidentali in generale, e francesi in particolare. Il contingente Nato in Niger è composto da circa 3000 militari, di cui 1500 francesi, 1.100 americani e 400 italianiLa Nigeria, per la forte consistenza del suo esercito, sarebbe la capofila dell’operazione militare. Il suo confine col Niger, però, è considerato dalle rispettive popolazioni come una specie di confine interno di casa, tanto le due comunità hanno ataviche radici in comune dal punto di vista etnico e culturale. Che si scateni una guerra – alla fine a favore soprattutto dei vecchi e nuovi interessi delle ex potenze coloniali – non è visto di buon occhio da gran parte delle popolazioni dell’Africa Occidentale e del Sahel.

L’attorcigliamento della complicazione è data anche dall’incombere di nuovi interessi e influenze imperialistiche. A cominciare dalla Cina. E dalla Russia, attraverso lo spicciativo braccio d’acciaio del Gruppo Wagner. La posta in gioco su cui ponevamo l’interrogativo è proprio questa: l’Africa dovrà continua a essere perenne oggetto di brutale espropriazione, sfruttamento, estrazione, rapina, razzia da parte di vecchi o nuovi colonialismi, imperialismi di origine democratica, autoritaria o dittatoriale che sia? La democrazia non può essere solo un affare interno ai propri confini, ai propri cittadini, e soprattutto razziare altre terre, rapinare altre popolazioni non è democrazia. Uranio, petrolio, cobalto, litio, materie ad alto valore economico, insieme a quelle a costo esistenziale vicino allo zero come gli schiavi da immigrazione. 

L’Europa, proprio per bloccare le mire coloniali di regimi autoritari, dittatoriali quali Cina e Russia, dovrebbe apire un nuovo capitolo epocale di restituzione della giustizia economica, politica e ambientale all’Africa. Solo così potrebbe risolvere i disastri permanenti delle guerre continentali, degli scannamenti per religiosi fondamentalisti per l’accaparramento delle risorse naturali, degli sconvolgimenti ambientali e climatici, delle migrazioni obbligate, forzate, imposte da tali eventi.

Jean-Léonard Touadi, ex deputato afro-italiano, funzionario Fao-Onu, docente di Geografia dello Sviluppo in Africa, alla Sapienza Università di Roma sintetizza su Radio Radicale: “Non è un caso che 21 dei 27 colpi di Stato attuati in Africa dal 1990 a oggi si siano verificati in Stati francofoni, ossia colonizzati e tenuti sotto controllo, influenza dalla Francia. Il Niger rappresenta il punto finale di un rigetto antifrancese, antioccidentale, che dura da decenni e che può trovare in questa crisi un punto di ritorno”.

Se davvero si spalancassero gli otri della follia bellica in Sahel, Africa occidentale e sub-sahariana, questa non sarebbe che la continuazione con altri, più devastanti mezzi della carneficina liquida in atto tutti i giorni nel Mar Mediterraneo.

Riccardo Tavani

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