Pauline, Mary e le altre donne per le donne: «Dalla tratta si rinasce»
Le storie delle vittime che decidono di mettersi al servizio di chi ha vissuto il loro stesso dramma e di chi decide di dedicare la vita ad aiutarle.
Persino Papa Francesco coglie l’occasione dell’udienza alla delegazione della rete Talitha Kum, che combatte contro la tratta degli esseri umani. Un’udienza svoltasi a Casa Santa Marta.
«Non possiamo accettare che tante sorelle e tanti fratelli siano sfruttati in maniera così ignobile – ha detto Francesco rivolgendosi alla delegazione –. Il commercio dei corpi, lo sfruttamento sessuale, anche di bambini e bambine, il lavoro forzato sono una vergogna e una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali».
C’è quasi sempre la forza di una donna all’inizio di un percorso di rinascita dalla tratta. Una donna che di tratta è stata vittima e ha trovato il coraggio di rialzarsi, che tra donne abusate e sfruttate è cresciuta, sentendosi impotente di fronte a tanta sofferenza. Una donna che ha deciso di dedicare la sua vita alle altre, scegliendo di consacrarsi. Insieme al sorriso, alla gioia di stare insieme, è questo il potere delle sisters di Talitha Kum (sorelle davvero, prima che suore) e delle giovani ambasciatrici di speranza che in questi giorni si sono riversate a Roma da ogni parte del mondo in occasione della Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta che si è celebrata l’8 febbraio.
Tra le donne arrivate a Roma per partecipare agli eventi organizzati dalla rete di Talitha Kum c’è Pauline Akinyi Juma. «Ho 30 anni, sono madre di tre bambini fantastici e tutrice di 38 persone vittime di tratta o violenza. Sono nata e cresciuta in una grande baraccopoli di Nairobi, in Kenya. Una condizione che fin da piccola ti ricorda che devi lottare». E Pauline l’ha fatto, dopo essere sopravvissuta lei stessa alla violenza sessuale già a 16 anni e poi a quella domestica a 19. «Il giorno in cui fui abusata indossavo un bellissimo abito verde. Associai il colore al male che avevo incontrato e per molto tempo non l’ho più indossato fin quando ho finalmente celebrato la mia rinascita».
Pauline cinque anni fa ha fondato Rebirth of a Queen, un’organizzazione che alle vittime offre un rifugio e un percorso olistico di rinascita che parte dall’imparare a raccontare la propria storia e arriva all’emancipazione economica, l’apprendimento di un mestiere, il ritorno a scuola per chi lo desidera e persino un programma di fitness in cui le sopravvissute, un passo alla volta, si riconnettono ai loro corpi». Tra le donne e i bambini assistiti dall’organizzazione, la madre più giovane ha 13 anni.
Anche Mary arriva dal Kenya, esattamente un piccolo villaggio. Da ragazza vedeva le sue coetanee partire, in tasca il sogno d’una vita lontana. Lei no, voleva studiare, voleva diventare una giornalista. Quella strada l’ha portata a Nairobi e poi a Roma dove casualmente ha incontrato Talitha Kum e per la prima volta ha sentito parlare di tratta. «Si parlava del mio Paese, anche, di quante ragazze partite dai villaggi attorno al mio fossero finite nella trappola dei trafficanti. Fu una specie di vocazione per me: dovevo fare qualcosa, dovevo diventare una voce per chi non ne aveva». E Mary s’è inventata Sema Nami, un’organizzazione guidata dai giovani che fa formazione e prevenzione in Kenya, aiutando chi si trova in difficoltà.
Le donne che arrivano con la promessa di un lavoro in un Paese in cui non conoscono nessuno e neppure la lingua sono davvero tante, troppe.
In fondo stiamo vivendo la peggiore crisi migratoria della nostra storia con una linea sottile tra il traffico di migranti e la tratta di esseri umani. Ora la situazione si aggrava con le pressioni e le ingiuste politiche migratorie del governo statunitense.
C’è chi sostiene che in ogni persona capace di fare del bene senza chiedere nulla in cambio ci sia Dio.
Credo che ogni persona sia un mondo a parte e c’è gente che ha quest’indole viscerale ad aiutare gli altri, i più bisognosi, gli ultimi, coloro che non hanno alternative e per questo silenziosamente devono subire. Ci sono persone che ancora tendono una mano ai meno fortunati, ai senza tetto che si riparano sotto un porticato, che offrono loro aiuto, che accanto a loro si siedono per ascoltarli.
Perché in ogni caso di emarginazione, ciò che fa male ancor di più, è non essere “visti” e la solitudine può essere un coltello che si beffa delle tante ferite.
L’importante è che ancora ci sia gente con tanta umanità e questo può bastare a sconfiggere il male in ogni sua forma.
Stefania Lastoria